A serious man

Difficile analizzare A Serious Man dopo un’unica visione, arduo comprendere fino in fondo i sottotesti del film, il suo significato, le sue motivazioni artistiche. Approssimativo inoltre sarebbe catalogarlo come l’opera più debole dei Coen.
Ci aspettavamo sicuramente qualcosa di diverso dall’ultima fatica dei fratelli del Minnesota, ma ormai con loro la delusione è ciclica. I Coen nella loro carriera cinematografica ci hanno sempre abituato ad alti e bassi, alternando film di straordinario impatto e dalla sublime costruzione narrativa e visiva ad altri all’apparenza più sbrigativi, troppo leggeri, sempre e comunque divertenti ma superficiali nella loro messa in scena burlescamente sopra le righe. In questo caso, però, la delusione ha un valore differente dal solito. Non ci sentiamo infatti di considerare A Serious Man un punto “basso” della loro filmografia. La costruzione filmica, dietro la sua facciata di essenzialità, nasconde uno studio attento di ogni singola inquadratura, di ogni minimo movimento dei personaggi. I due registi ci regalano un’America particolare, avvolta da un’aria ovattata, fredda nell’atmosfera, sbiadita nei colori: un’America degli anni ’60 che è terra di figure quasi mitologiche (vedi il vecchio rabbino, o la “sirena” ammaliatrice della porta accanto, o il robusto ragazzo – sempre ripreso nella stessa azione - che minaccia il figlio del protagonista per dei soldi che gli deve), un’ America che è luogo di un’esistenza piatta e banale (sintetizzata nel protagonista, il serious man del titolo, interpretato splendidamente da Michael Stuhlbarg), che vive della sua monotonia. Monotonia che, seppur presente ed evidente in ogni immagine, viene totalmente stravolta dai Coen, i quali non congelano la narrazione in una stasi costante ma la infondono di un ritmo narrativo che tiene sempre in tensione, che pone in ogni istante lo spettatore sul punto di aspettarsi qualcosa che mai accadrà.
Insomma, tutte queste considerazioni non possono di certo indurci a definire A Seriuos Man un film non riuscito né un punto basso della carriera degli autori di Barton Fink. Il problema del film non è dunque da rintracciare negli aspetti tecnici, né è riscontrabile nella messa in scena né nella sceneggiatura (alcuni dialoghi sono veramente sublimi). Ciò che lascia perplessi è la sua imperscrutabilità.
Puro esercizio di stile? Voluta presa in giro dello spettatore? Divertente (ma vuoto) ritratto della cultura ebraica? Sicuramente si tratta di un film complesso, che spiazza per il suo impianto narrativo, che affascina per i tratti caricaturali dei suoi personaggi. Ma soprattutto è un’opera fortemente personale, ricca di autobiografismo. Ed è proprio quest’ultimo aspetto che lo lascia lontano da una piena comprensione. I Coen offrono infatti un racconto talmente legato all’universo ebraico e riconducibile alla loro esperienza che non può essere capito fino in fondo dallo spettatore. Se abbiamo delle riserve su A Serious Man esse sono dovute proprio a questo distacco emotivo, a questa lontananza, alla scelta degli autori di tenersi stretti il loro mondo e di portarlo sullo schermo senza renderlo realmente accessibile al pubblico. Il risultato è un prodotto artistico a sé stante, un unicum cinematografico che, pur lasciando visibile il tocco dei suoi autori, si distanzia notevolmente da quanto hanno realizzato in passato.
I Coen giocano con il cinema, o meglio ancora, con la loro idea di cinema: iniziano il film con un prologo “aperto” che, più che avere un’importanza narrativa, svolge il ruolo di prologo “culturale-tradizionale” per il resto del racconto; proseguono il film con tonalità da black-comedy, costellando la rappresentazione di infiniti simbolismi, di dettagli all’apparenza inutili; vanno avanti non raccontando praticamente nulla, ritornando sempre sulla stessa materia filmica; mantengono latente una tensione che non trova mai nessuno sfogo catartico; a metà inseriscono momenti onirici ed un racconto/parabola che non offre nessuna morale e rimane incompiuto; e quando veramente qualcosa sembra sconvolgere la piatta esistenza dei personaggi, il film finisce lasciando lo spettatore spiazzato, vittima di un gioco artistico, che forse lo ha divertito ma che sicuramente non lo ha soddisfatto.
Grande cinema o inutile esercizio di stile? Di una cosa siamo certi: Il Grande Lebowski, Fargo, No Country for Old Men, Blood Simple sono un’altra cosa.
Guarda lo speciale sul film con l’intervista video a Michael Stuhlbarg
(A Serious Man) Regia: Joel e Ethan Coen; sceneggiatura: Joel e Ethan Coen; fotografia: Roger Deakins; montaggio: Roderick Jaynes; musica: Carter Burwell; interpreti: Michael Stuhlbarg, Richard Kind, Fred Melamed, Sari Lennick, Adam Arkin; produzione: Mike Zoss Productions, Relativity Media, Studio Canal, Working Title Films; distribuzione: Medusa; origine: USA, Gran Bretagna, Francia; durata: 105’.
