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A Touch of Sin

Pubblicato il 23 maggio 2013 da Marco Grosoli

VOTO:

A Touch of Sin

Come si fa un film sulla violenza (in larga parte sommersa) nella Cina di oggi? E soprattutto, come lo si deve guardare?
Il riuscitissimo ritorno di Jia Zhang-Ke al film di finzione sette anni dopo il Leone d’Oro veneziano a Still Life si premura di dircelo già attraverso il primo dei quattro episodi di cui si compone. Un benintenzionato abitante di un villaggio dove la corruzione è all’ordine del giorno imbraccia il fucile e si fa giustizia da solo, facendo ovviamente più danni di quelli che avrebbe voluto riparare. Morale: non si tratta, in A Touch of Sin, di torti da denunciare o da raddrizzare. Di che si tratta allora? Nientemeno che di catarsi. Perché man mano che si dipanano le tre storie a seguire, appare sempre più chiaro che la violenza, la lacerazione, la negatività non sono imputabili agli uomini: sono un dato strutturale, ce lo portiamo dietro intrinsecamente, a prescindere, senza che ci si possa fare niente, o quasi. Ecco perché il peccato originale alluso nel titolo e, soprattutto, da quelle mele rosse che formano la più vistosa rima interna del film. Ed ecco perché abbondano lenti e sinuosi movimenti di macchina che legano magistralmente personaggi e ambienti, azioni e descrizioni, uomini e luoghi: lo strappo violento non viene da quello che facciamo, ma è un dato della realtà stessa di cui siamo parte integrante, impastato nella sua concreta fisicità, un tessuto in cui continuità e discontinuità si fanno tutt’uno. Gli elaborati movimenti di macchina di Jia ce lo mostrano plasticamente, mescolando al loro fluire placido l’irruzione improvvisa della violenza, o più in generale di qualche forma di rottura.
Catarsi, si diceva. Sì, perché attraversati (lungo una costruzione di mirabile intelligenza che svicola sistematicamente dalla prevedibilità) i tre episodi, “fattacci” in cui le motivazioni di carattere sociale si mescolano inestricabilmente a quelle relative alle relazioni di coppia (sempre disastrose), si arriva a uno splendido e irrivelabile finale in cui diventa chiaro che davanti a un dato ineliminabile come la violenza non possiamo fare molto altro che prendere coscienza dell’abbraccio strettissimo tra continuità e discontinuità, normalità e aberrazione. Un abbraccio che tipicamente è la finzione a mettere in forma ed esprimere, ma che Jia ci tiene a visualizzare direttamente sulla pelle della realtà.


CAST & CREDITS

(Tian Zhu Ding) Regia e sceneggiatura: Jia Zhangke; fotografia: Yu Likway; montaggio: Matthieu Laclau, Xudong Lin; musiche: Lim Giong; interpreti: Jiang Wu, Baoqiang Wang, Zhao Tao, Lanshan Luo; produzione: Xstream Pictures, Office Kitano Inc., Shanghai Film Group Corporation, Shanxi Filmand Television Group, Bandai Visual, Bitters End; origine: Cina, Giappone; durata: 133’.


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