Adèle e l’enigma del faraone

E’ stato presentato come la versione al femminile della saga di Indiana Jones. In realtà Adèle e l’enigma del faraone, il nuovo film del visionario regista parigino Luc Besson, restituisce le sensazioni di uno Spielberg d’annata ma solo per celare dietro di esse (e dietro l’ammirazione che il regista ha per esse) una storia dalle sfumature e dalle atmosfere tipicamente francesi. Non che, con questa sua nuova fatica, Besson si sia particolarmente sforzato di tenere nascosta la sua predilezione per un certo tipo di costruzione all’americana, la stessa che gli ha consentito in passato di omaggiare maestri come Scorsese e di strizzare l’occhio ai generi tipici del cinema americano, ma non ce la sentiamo di ridurre totalmente la sua opera ad un mero esercizio manieristico. Questo perché la prima puntata delle avventure della dolce signorina d’oltralpe (è il primo film di una annunciata trilogia) mescola sapientemente gli spunti innovativi, freschi e guizzanti del genere avventuroso classico con le riflessioni tipiche di una pellicola europea. Autoctona, artigianale, istintiva e radicalmente separata dall’esplosività di un “videogioco hollywoodiano”. Non a caso Adèle, prima di divenire un personaggio cinematografico, risiedeva nei libri sofisticati e graffianti di Jacques Tardi, animava le pagine colorite di quei suoi fumetti intelligenti, rappresentava al meglio l’immaginario tipico tardiano fatto di mondi iperreali e rappresentazioni grottesche della società circostante. Sulla trasposizione della genialità grafica e letteraria di quell’originale cartaceo si basa quindi la costruzione dell’essenza di un’opera di tipo nazionalpopolare, astuta sotto il profilo dell’incedere narrativo ma sempre e comunque riflessiva. Parallelamente all’evoluzione di una storia incontenibile e sorprendente, fatta di singole trovate e di un’ascesa emozionale decisamente coinvolgente, Luc Besson riesce infatti a ritagliarsi degli spazi di intervento in cui far risaltare una autorialità distinguibile e l’influsso di una critica sociale indispensabile per un’opera come questa. L’emancipazione dell’energica protagonista, il suo carattere irruento e in un certo senso rivoluzionario, il declino della società parigina di inizio secolo scorso, compresa l’inefficacia delle istituzioni pubbliche, sia politiche che militari, non sono altro che il risultato di un evidente radicamento territoriale dell’opera, di quell’influsso europeista dal quale Besson, per sua stessa ammissione, è partito per costruire la sua versione personale di eroe avventuroso. Il delicato passaggio dal testo illustrato all’immagine in movimento non compromette in definitiva le peculiarità della storia, il cui complesso meccanismo fatto di ironia, cinismo e spirito di provocazione rimane invariato se non addirittura arricchito da un evidente sovraccarico di eccessi visivi e intrecci narrativi inaspettati (lo script è il risultato dell’unione di più testi della saga originale). Di questo non può che agevolarne la visione dello spettatore, il quale nelle circa due ore di film ha la possibilità di godere della genialità visiva di un maestro come Besson (visibilmente a suo agio nella trasposizione di un mito personale), della sua astuzia professionale, del senso di sicurezza di spielbergiana ispirazione da cui muove l’eroina Adèle, nonché di una vicenda avventurosa senza limiti, senza interruzioni e dal ritmo tambureggiante. Il tutto racchiuso all’interno di un involucro formale di tutto rispetto, in cui la fotografia del superbo Thierry Arbogast spicca per la vasta scala di colori utilizzata e un impianto visivo travolgente e in cui le scenografie e i costumi, rispettivamente di Hugues Tissandier e Olivier Bériot, restituiscono in maniera esemplare il mondo immaginato, ideato e disegnato da Jacques Tardi. E’ per questa serie di motivazioni perciò, che possiamo tranquillamente affermare come l’esame alla vigilia ritenuto rischioso o quanto meno azzardato della trasposizione cinematografica del fumettista francese, si possa, alla luce dei fatti, ritenere superato con disinvoltura dal regista di Leon e Nikita. Proprio a lui va il nostro pensiero finale. Da molto tempo non vedevamo un Besson così coinvolto nel progetto e così ansioso di realizzarlo al meglio. Una passione e una energia visibili sullo schermo, che lo spettatore recepisce e ritrova in ogni singolo fotogramma della pellicola. Anche in quelli in cui l’opera concede qualcosa al sensazionalismo forzato o in cui cede, in maniera forse gratuita, al richiamo dell’effettistica e dell’intrattenimento esasperato. Peccati, veniali, a cui il buon Luc però ci ha ormai abituato da tempo.
(Les aventures extraordinaires d’Adèle Blanc-Sec) Regia: Luc Besson; soggetto e sceneggiatura: Luc Besson, tratto dai fumetti di Jacques Tardi; fotografia: Thierry Arbogast; montaggio: Julien Rey; musiche: Eric Serra; scenografia: Hugues Tissandier; costumi: Olivier Bériot; interpreti: Louise Bourgoin (Adèle Blanc-Sec), Mathieu Amalric (Dieuleveult), Gilles Lellouche (Caponi), Jean-Paul Rouve (Justin de Saint Hubert), Jacky Nercessian (Esperandieu), Laure De Clermont-Tonnerre (Aghate), Philippe Nahon (Prof. Ménard), Nicolas Giraud (Zborowski); produzione: Europacorp; distribuzione: Medusa Film; origine: Francia; durata: 107’.
