Agnelli, la Fiat, il Cinema.

Torino. Muore Gianni Agnelli patron della FIAT. Al cinema Agnelli deve una presunta tresca con Zsa Zsa Gabor, la bionda fatale degli anni ’50, recentemente uscita dal coma per l’incidente d’auto occorsogli a Hollywood, senza una gamba, eppure speranzosa di tornare a montare il suo cavallo. Agnelli, inoltre, da sempre ai vertici per classe e gusto, è accreditato su uno noto repertorio filmografico per la sua preferenza assoluta verso Quarto potere di Orson Welles. Ma in questa ora il cinefilo non può non riandare all’automobile, attrice immancabile del film che nasce in Italia proprio nella città del cinema. Lo scorso anno Manoel De Oliveira, a Torino per il Festival, preferì visitare il Lingotto, accompagnato dai massimi dirigenti dell’azienda di cui Agnelli era padrone, anziché il museo della celluloide dentro la mole. Lì riconobbe, sorridente, un modello con avviamento a manovella appartenutogli nella giovinezza, prima di diventare cineasta, quando ammirava le belle ragazzotte della sua città, Porto, dal ponte che l’attraversa. Ogni evento della nostra cultura è stato sigillato da una delle proverbiali battute dell’avvocato. Durante la Contestazione, in un sit-in di registi engagé, gli fu attribuita l’affermazione: Mai visti tanti miliardari vestiti così male. Il lascito di Agnelli, delle sue quattroruote e delle autostrade che percorrevano, all’immaginario collettivo della settima arte italiana (ma anche polacca e libica) è dunque grande. Anche domani, quando si consumerà l’addio al grande italiano della televisione, dopodomani a quello del telefonino e fra tre giorni a quello di Internet, ci ricorderemo sempre di Gianni Agnelli, del suo aplomb stuartgrangeresco, dell’inconfondibile tono, degno dei migliori doppiatori della scuola italiana.
24 gennaio 2003

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