Alla Luce del Sole
Don Pino Puglisi era un sacerdote che visse una vita lottando contro la mafia. Per questo la mafia lo uccise, per regalo, nel giorno del suo compleanno. Era il 1993. Poco prima erano stati uccisi Falcone e Borsellino. Puglisi creò un centro di accoglienza per raccogliere i bambini dalla strada, sottraendoli aòll’arruolamento mafioso. A un certo punto in Alla luce del sole un mafioso grida con fierezza: “Ma se non glielo diamo noi il pane alla gente, chi glielo dà? Lo stato? La chiesa?”. In una battuta è riassunta tutta una cultura: per molti palermitani la mafia è il vero stato, un’istituzione che dà lavoro e protezione in cambio di omertà. Faenza ha presentato durante l’anteprima del film anche un documentario girato recentemente in cui molti giovani palermitani dicono che Falcone e Borsellino erano uomini disonorati: delinquenti, in pratica. Puglisi cercava appunto di recuperare i ragazzini ancora non contaminati nell’anima che vivevano in uno dei quartiere più degradati di Palermo, il Brancaccio. La vita di Don Puglisi dunque è esemplare non solo perché dimostra che spesso gli eroi sono le persone più comuni e sconosciute, ma soprattutto perché mette in evidenza le collusioni fra mafia e politica. Nei recenti film per la tv dedicati al tema, l’aspetto politico sembrava rimosso a scapito di quello intimistico. Mentre quando una trasmissione di approfondimento giornalistico come Report (Rai 3) trasmette un servizio sulla mafia in Sicilia le autorità si scandalizzano per il danno di immagine alla regione. È la logica del rovescio, una logica di rimozione “omertosa” della realtà per cui il risentimento non è verso la mafia, ma verso chi ne denuncia l’esistenza. Comunque Faenza fa cinema e non cronaca giornalistica e narra la sua storia prendendola dal versante emotivo e sentimentale. Ma qui il ripiegamento sull’intimità non è usato per evitare argomenti “scabrosi”. E infatti la vita di Don Puglisi scorre liscia, bene o male, finché non va a ficcare il naso laddove non si può: nella politica. Finché si limita a strappare i ragazzini dalla strada per farli giocare a calcio in parrocchia viene tollerato, ma quando si mette in testa di recuperare un edificio cadente usato come ufficio e arsenale per le armi dalla mafia per farci una scuola, lì si decide la sua condanna. Faenza sceglie la sobrietà, la semplicità quasi per pudore, per non rendere retorico un argomento largamente sfruttato e soprattutto per evitare un’impotente catarsi consolatoria. Grazie anche all’interpretazione senza retorica di Zingaretti, Faenza riesce a rinnovare la nobile tradizione civile del cinema italiano.
regia: Roberto Faenza sceneggiatura: Roberto Faenza, in collaborazione con Gianni Arduini, Giacomo Maia, Dino e Filippo Gentili, Cristiana Del Bello. Con la testimonianza di Suor Carolina Iacovazzo, Gregorio Porcaro fotografia: Italo Petriccione montaggio: Massimo Fiocchi musica: Andrea Guerra interpreti: Luca Zingaretti, Corrado Fortuna, Alessia Goria produzione: Elda Ferri per Jean Vigo Italia origine: Italia 2004 durata: 120’ distribuzione: Mikado web info: sito ufficiale
[gennaio 2005]