X

Su questo sito utilizziamo cookie tecnici e, previo tuo consenso, cookie di profilazione, nostri e di terze parti, per proporti pubblicit‡ in linea con le tue preferenze. Se vuoi saperne di pi˘ o prestare il consenso solo ad alcuni utilizzi clicca qui. Chiudendo questo banner, invece, presti il consenso allíuso di tutti i cookie



Allied

Pubblicato il 17 gennaio 2017 da Matteo Galli
VOTO:


Allied

Ricordava Uwe Johnson, lo scrittore tedesco autore di Congetture su Jakob e dello straordinario I giorni, gli anni da poco disponibile in traduzione integrale presso L’Orma Editore che quando negli anni 50, ancora in DDR, frequentava i corsi di letteratura del grande critico Hans Mayer il professore esercitava sistematicamente gli studenti nella capacità di cogliere allusioni e citazioni. Non sappiamo se gli studenti di cinema di questi anni dispongano di un archivio di immagini tale da poter cogliere allusioni e citazioni, certo si è che Allied – Un’ombra nascosta, l’ultimo film di Robert Zemeckis (il ventesimo esatto, se non andiamo errati) ben si presterebbe alla bisogna, assommando su di sé una quantità notevole di consapevoli rimandi a una serie di film e di generi della Hollywood classica e non, pescando a piene mani da spy story e commedia sofisticata, film di guerra e melodramma e producendo nello spettatore, pur nel quadro di una drammaturgia tutto sommato tradizionale, alcuni spaesamenti. D’altra parte la dichiarazione di poetica di Zemeckis la si trova fin dalla primissima splendida sequenza. Il protagonista, Max Vatan, ufficiale appartenente all’intelligence della RAF canadese, si paracaduta sulle dune del deserto marocchino (la scena è stata girata in realtà a Gran Canaria), la sequenza è ripresa dall’alto con un sapiente gioco di prospettive e lo spettatore ha almeno tre volte la sensazione che il paracadute sia sul punto di toccare terra, ma la prospettiva si rivela ingannevole e chi osserva è costretto a ri-tarare la propria percezione. Un chiaro avvertimento, insomma, per quanto seguirà. Un avvertimento duplice, peraltro: lo spettatore vedrà un film che fa della spettacolarizzazione estetizzante la propria principale cifra stilistica.
Siamo dunque in Marocco, più precisamente Casablanca, nel 1942, guarda caso proprio nell’anno in cui Michael Curtiz girava il film - già qui campanelli d’allarme, anzi campane a stormo. Max è venuto a incontrare l’agente dell’intelligence francese Marianne, fingendosi suo marito, ingegnere delle miniere di fosfato arrivato fresco fresco da Parigi. Professionale oltre ogni dire il buon Max ha imparato tutto quel che serve imparare di chimica (la formula del fosfato) e sta anche facendo passi da gigante quanto a inflessioni parigine (inutile dire che il film andrebbe visto in originale). Lo scopo è uccidere l’ambasciatore tedesco nel Marocco francese amministrato dai collaborazionisti di Vichy. Qui ha inizio, diciamo così, il primo film: da un lato la preparazione del colpo da mettere a segno di lì a qualche giorno, dall’altro le scene da un (finto) matrimonio per non destare sospetti presso la community locale e i curiosissimi vicini, ma – in terzo luogo – quello che lo spettatore intuisce fin dalla prima sequenza in cui vede Brad Pitt e Marion Cotillard ossia che la finzione si trasformerà in realtà e i due ben presto si innamoreranno davvero. La prima parte si conclude con l’attentato (e qui, anche complice Pitt, lo spettatore non può non pensare a Inglorious Basterds) e, poco prima, con una delle scene più virtuosistiche del film: le due spie fanno per la prima volta l’amore fra le dune in macchina, mentre fuori infuria la tempesta di sabbia e la macchina da presa gli gira intorno più e più volte, come a dire la passione li sta definitivamente accerchiando. Un esempio da manuale su come rivisitare i generi hollywoodiani all’epoca in cui non vige più il codice Hays e, sia a livello di linguaggio che di immagini, si può dire e mostrare (quasi) tutto.
Dopodiché ha inizio il secondo film che chiameremo Interno Londinese. La coppia si stabilisce in una casetta a due piani a Hampstead, la guerra continua, Max fa prezioso ma oscuro lavoro di ufficio e la bella Marianne dismette i panni di fatalona tutta sete e panneggi e si trasforma in preziosa e oscura moglie e madre (sotto un attacco aereo in una delle scene più clamorosamente e volutamente finte del film l’eroica Marianne partorisce una bambina) che, coi suoi abitucci dimessi (inguardabili gonnone e camicette a quadri e fiorami) attende paziente il ritorno del marito coccolando il bebé. È davvero così? Siamo proprio certi?
Finché non ha inizio il terzo e ultimo film, quello dove a Zemeckis riesce molto bene la commistione di spy –story/mélo, dove si torna a citare a piene mani da Casablanca: basti dire, senza rivelare come va a finire, che il film terminerà in un aeroporto, una pistola sparerà e anche la Marsigliese giocherà un ruolo non secondario nel disvelamento della verità. Ma oltre a Casablanca occhieggia, e neppure da troppo lontano, anche Alfred Hitchcock da Il sospetto a Notorious.
Il film ha qualche debolezza drammaturgica qua e là, soprattutto nella seconda parte, la regia, però, è molto divertente. La recitazione, va detto, non è per nulla entusiasmante, né per quanto riguarda Pitt, né per quanto riguarda Cotillard, d’accordo il citazionismo postmoderno dei generi classici, ma la mimica, il linguaggio dei corpi è troppo poco credibile per un film che è e resta un film in costume.


CAST & CREDITS

(Allied -Un’ombra nascosta). Regia: Robert Zemeckis sceneggiatura:Steven Knight; fotografia: Don Burgess; montaggio: Mick Audsley, Jeremiah O’Driscoll; interpreti: Brad Pitt (Max Vatan), Marion Cotillard (Marianne Beausejour), Jared Harris (Frank Henslop), Matthew Goode (Guy Sangster); produzione: GK Films, ImageMovers; distribuzione: Paramount; origine: Regno Unito, USA 2016; durata: 124’.


Enregistrer au format PDF