Amabili resti (Conferenza stampa)
Roma - Si è svolta a Roma, nella sontuosa cornice del Regis Hotel, la conferenza stampa di Amabili Resti, tratto dall’omonimo romanzo di Alice Sebold, ultima fatica cinematografica di Peter Jackson. Ad accompagnare il regista c’era Soairse Ronan, la protagonista del film. L’autore ha rilasciato alcune interessanti dichiarazioni sul suo modo di fare e pensare il cinema.
Lei quindici anni fa aveva diretto Creature del Cielo, un film nel quale due ragazze trovano pace in un mondo parallelo. Ci sono delle attinenze con Amabili Resti?
Non credo che tra Creature del Cielo e Amabili Resti ci siano delle attinenze. Creature era tratto da una storia vera accaduta in Nuova Zelanda. Era basato sui diari delle due ragazze assassine. Qui invece avevo a disposizione un romanzo con al centro una ragazza uccisa. Il parallelo tra le due storie è forse proprio questo: tutte e tre sono delle adolescenti con un’intera vita davanti.
Cosa l’attraeva di questo romanzo?
Naturalmente il grande tema della morte. E’ un dilemma che unisce tutti gli esseri umani. In realtà non ho alcuna idea di quello che accade dopo la morte. Certo mi piacerebbe saperlo e posso solo immaginarlo. Voglio credere che avvenga qualcosa di scientifico, di razionale alla nostra anima: qualcosa che trasformi la nostra energia. Quando si muore l’energia non può essere distrutta e questo avviene per una legge fisica. Affrontare questo tema è stato molto coinvolgente, ma abbiamo cercato di dare alla storia anche un aspetto legato al puro intrattenimento. Potevo fare un film deprimente invece ho voluto dare un’energia positiva alla mia opera. Amabili resti non parla di un omicidio, ma parla d’amore. Non abbiamo pensato al film in modo specifico per i giovani, ma non volevamo spaventare gli adolescenti. Penso che sia molto importante per qualsiasi film che gli elementi fantastici sembrino veri. Per due ore di intrattenimento il pubblico deve crederci. Ritengo che tra il regista e il pubblico si stipuli un patto con il quale si assume l’impegno di immaginare che le cose rappresentate siano vere. E’ molto importante per evitare “effetti satirici”. Nel Signore degli Anelli, ma anche in King Kong e in Amabili Resti, ho cercato di filmare le scene fantastiche nel modo più realistico possibile. Per seguire gli spostamenti degli attori ho utilizzato una handycam, facendo riprese in movimento così da aumentare l’effetto realistico e introdurre questo elemento di finta spontaneità.
Amabili Resti è il suo primo film americano. Come mai non ha pensato di ambientarlo in Nuova Zelanda?
Perché non avrebbe avuto lo stesso impatto emotivo. Non sarebbe stato credibile. La scrittrice è americana, com’è americana la cittadina dove si svolge la storia. La ragazzina è una piccola americana degli anni ’70, che si appresta a diventare grande in un paese in perenne trasformazione. Tuttavia considero il film neozelandese e non americano perché in realtà è stato girato anche in Nuova Zelanda e lì montato.
Lei fa film di grande impatto, ma preferisce restare nel suo mondo lontano dalle luci di Hollywood… Sono contento di essere una voce fuori dal coro di Hollywood. Mi considero un alieno. Non vado alle loro feste, non faccio certi film, ma solo quelli che mi attirano di più. Mi ritengo ancora un indipendente perché è salutare restare fuori dai meccanismi della grande mecca del cinema. Questo mi ha permesso di non perdere quell’entusiasmo e quella spontaneità che avevo quando giravo i primi film.
Nel film c’è una grande cura per i suoni e per la colonna sonora con pezzi anni ’70. Che ruolo svolge l’intero apparato sonoro nel film?
Ho sempre pensato che il suono sia molto importante in un film: in Amabili resti mi sono impegnato molto sui rumori d’ambiente e sulla musica. Spesso questa componente espressiva viene ignorata. Invece è un’arma segreta, la chiave di volta di una storia: ad esempio cito la scena in cui la sorella di Susie si introduce nella casa dell’assassino in cerca di indizi. Per quanto riguarda la colonna sonora, ho pensato a Martin Scorsese e a come la colloca nei suoi film. Avevo in mente una ventina di brani musicali degli anni 70’ da utilizzare, ma mi serviva qualcosa che fosse potente e affascinate. Così ho chiamato Brian Eno. Lui non è un compositore per il cinema, però ha capito subito di cosa avevo bisogno. Ha letto il libro e la sceneggiatura, e sulle suggestioni di entrambi ha creato della musica che si sposa benissimo con le immagini del film.
Cosa pensa del 3D, pratica di cui si parla con timore e ammirazione?
La tecnologia 3D mi piace perché i film sono intrattenimento, il 3D non è noioso: questa tecnologia aggiunge qualcosa all’esperienza cinematografica. Il 3D diventerà di uso comune e non se ne parlerà più così tanto.
Come ha scelto Soairse Ronan?
Non è stato facile scegliere l’attrice protagonista: ci trovavamo in America alla ricerca di Susie, ma le ragazze provinate erano troppo moderne. E’ accaduto per caso. All’epoca del casting Saoirse stava ancora recitando in Espiazione. Il suo agente mi ha mandato uno showreel con delle scene in cui recitava. Sono rimasto colpito dalla sua capacità espressiva e dalla sua istintività. Una qualità che molte sue coetanee non posseggono. Così ho contattato i suoi genitori. Ho detto loro di cosa parlava il film, se il tema poteva colpire la loro sensibilità. Sono stati molto comprensivi e l’hanno perfino spinta ad accettare la parte.
Come è andato il lavoro con Stanley Tucci e Susan Sarandon?
Mentre scrivevamo la sceneggiatura abbiamo pensato immediatamente a questi due grandi attori. Entrambi hanno accettato. Per Stanley, che è un padre molto tenero e premuroso, non è stato facile immedesimarsi nei panni di un serial killer: ha trovato il giusto escamotage per entrare nella parte mutando il suo aspetto fisico secondo le esigenze del personaggio. L’ho convinto con molta calma, gli ho detto che nel film i suoi connotati sarebbero stati stravolti. E la sua interpretazione è andata ben oltre le nostre aspettative. Susan è un’attrice straordinaria: conoscevo la sua enorme professionalità, ma lavorare con lei è stata un’esperienza per me molto significativa.
Il film è un mix tra la fiaba nera ed il thriller. E’ vero che nelle scene di suspence si è rifatto ad Hitchcock?
Alcune scene del film sono ispirate da Hitchcock. La sfida per me è stata quella di non distrarre lo spettatore. Io condivido la massima hitchcockiana ’i film non sono dei pezzi di vita, ma dei pezzi di torta’. Io voglio fare film per intrattenere il pubblico. Voglio dare valore all’intrattenimento che offro.