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American Dreamz

Pubblicato il 9 giugno 2006 da Nicola Cordone


American Dreamz

Per avere successo in America (ma ormai in tutto il pianeta) è necessario essere “Umani. E per umano intendo imperfetto. E per imperfetto intendo strano. Trovatemi degli strani!” tuona categorico il cinico presentatore televisivo Martin Tweed spazzando via qualsiasi speranza meritocratica in un mondo in cui il talento, oltre a non essere spesso riconosciuto, è diventato quasi sinonimo di debolezza e motivo di vergogna, a giudicare dai trionfatori dello squallido programma televisivo American Dreamz, che si ispira al “reale” American Idol (talk-show americano di enorme successo in patria). “Ero interessato a fare un film su uno degli aspetti più importanti dell’identità americana, cioè l’idea che tutti dobbiamo avere un sogno. (...) Qui tutti (i personaggi) sono consumati da un sogno, nel bene e nel male”: è questo il caso della giovane Sally, tipica esponente della middle-class che anela a diventare una star di Hollywood, di Tweed (che quanto a megalomania ricorda il nostro Bonolis) e dell’imbranato terrorista Omer, amante dei motivetti dei musical di Broadway; il Presidente degli Stati Uniti, cui viene affidato l’incarico di fare da giudice alla gara finale del programma - compito che sembra preoccuparlo più degli incarichi di governo - è invece vittima di una ottundente depressione: sarà il Consigliere di Stato a cercare di limitare gli inevitabili danni all’immagine.
Una commedia satirica priva di humour, superficiale e mai graffiante, che si appoggia unicamente sulla recitazione degli attori, tra cui spicca (e il fatto non desta meraviglia) quella di Willem Dafoe nel ruolo del Consigliere astuto e senza scrupoli: curioso è vederlo invecchiato e imbalsamato nei movimenti mentre oscura la presenza di un Dennis Quaid qui nella parte del Presidente, a suo agio nella caricatura di George Bush; Hugh Grant, anche a causa della sceneggiatura dello stesso regista Paul Weitz, non dota il suo personaggio di peculiarità fisionomiche e caratterizzazioni mimiche tali da lasciare ricordi nell’immaginario dello spettatore. L’interprete femminile Mandy Moore, forte della sua grinta, regala un’interpretazione accettabile seppur all’interno di una marcata stereotipia.
Weitz, autore di American Pie e di About a boy, consegna un film le cui attenzioni sociologiche suscitano soltanto fastidio e perplessità, viste le modalità di trattamento: si citano luoghi e pregiudizi comuni con un buonismo di fondo pre-American Pie, infantile e consolatorio.
Situazioni comiche scontate, dialoghi banali, un piattume epidermico che investe anche tutto l’apparato scenografico e i costumi; passabile la scelta delle musiche che si modella sullo stile di American Idol selezionando i brani peggiori - per sdolcinatezza e ripetitività - della musica pop.
Lo sguardo di Weitz sul mondo degli adulti si è rivelato di levità e genericità imbarazzanti: c’è da sperare che la prossima fatica non si concentri sulla terza età.

(id.) Regia: Paul Weitz; soggetto e sceneggiatura: Paul Weitz; fotografia: Robert Elswit; montaggio: Myron Kerstein; musiche: Stephen Trask; scenografia: William Arnold; costumi: Molly Maginnis; interpreti: Hugh Grant (Martin Tweed), Dennis Quaid (Presidente Staton), Mandy Moore (Sally Kendoo), Marcia Gay Harden (First Lady Staton), Willem Dafoe (Vice Presidente Sutter), Chris Klein (William Williams); produzione: Paul Weitz, Rodney Liber, Andrew Miano (Depth of Field); distribuzione: UIP; origine: USA 2006; durata: 107’;

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