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Americana – The Middleman

Pubblicato il 26 luglio 2009 da Marco Di Cesare


Americana – The Middleman

È il ’Top of the Pop’ questa nuova serie trasmessa in anteprima su Fox il martedì alle 22.00, subito dopo gli episodi della seconda stagione di Reaper, e già promessa sposa per una tv digital-terrestre-semi-generalista: Rai4, nello specifico. The Middleman, creato dal portoricano Javier Grillo-Marxuach, uno degli sceneggiatori e dei produttori delle prime due annate di Lost, è un altro coacervo di situazioni assurde, dove un sapere enciclopedico segna il trionfo di una stravaganza che qui diviene un inno alla cultura popolare che con leggerezza e profondo affetto viene spinta al massimo, risultandone perciò deformata fino a raggiungere il culmine di un gioco che restituisce lo spirito dei tempi attraverso un ghigno sardonico che mette alla berlina il mondo, la sua irragionevolezza e i suoi mostri degni di essere rappresentati attraverso un fumetto in carne e ossa.

Il primo germe dell’idea nacque nel 1997. Due anni dopo Grillo-Marxuach aveva completato il pilot, proposto a compratori alquanto scettici che in effetti ogni volta gli indicavano l’uscita – speriamo almeno con una certa educazione e gentilezza – fatto che lo convinse ad abbandonare lo script in un cassetto, fino a quando nel 2004 venne convinto a riutilizzarlo come base per una graphic novel indipendente, disegnata da Les McClaine e pubblicata dalla Viper Comics tra il 2005 e il 2007 in tre volumi. L’operazione riscosse un grande successo e a quel punto fu breve il passo per tornare al progetto iniziale. Un passo breve e deciso per un manipolo di uomini, ma un bel balzo per il piccolo schermo: una passeggiata sulla luna, però, troppo estenuante da seguire per il network di riferimento (l’ABC Family), tanto che a tale immaginifica opera è stato presto intimato un alt, perentorio e probabilmente definitivo, che ha posto fine a un’esperienza lunga appena dodici episodi. Peccato mortale, questo, che troppo spesso si ripete all’interno della vastissima industria statunitense dell’intrattenimento televisivo, un regime di concorrenza perfetta che regala perle inimmaginabili per tanta Hollywood cinematografica, ma che divora presto molte delle sue creature migliori, sostituite da altre all’interno di palinsesti sempre più densi e desiderosi di novità.
Protagonista di The Middleman è una (non) tipica coppia di agenti speciali, novelli Avengers, Batman e Robin o Men in Black che non riescono a riposare mai in pace, vivendo avventure che uniscono spy-story e fantascienza con evidenti intenti parodistici, figli degli anni ’60 e di James Bond, ossia la prima involontaria caricatura della figura del perfetto 007. Da una parte abbiamo Middleman (Matt Keeslar), un belloccio dalla faccia molto white american e senza un capello fuori posto, ultimo di una sequela di spie al servizio del Bene. Accanto a lui la giovanissima Wendy Watson (ovvero gli abbacinanti colori ispanici di Natalie Morales), dagli amici chiamata semplicemente ’doppia doppia v’, neolaureata in arte e pittrice specializzata nell’Espressionismo astratto, scelta per il suo estremo autocontrollo di fronte all’inverosimile e per la sua memoria fotografica, che le varranno un’offerta di lavoro finalmente interessante dopo una miriade di contratti a termine. I due dovranno combattere contro creature mutanti e umani pazzoidi, al soldo di un’agenzia talmente segreta che neanche Middleman sa di cosa si tratti. Oltre che dal loro coraggio saranno aiutati da gadget incredibili che scatenerebbero l’invidia persino dell’Agente Smart, come lo scanner portatile Bols (acronimo di ’Ben oltre la scienza’...).

Ed è un incontro tra la consuetudine e la meraviglia al di là della razionalità, in uno sdoppiamento continuo che raggiunge un invidiabile equilibrio grazie alla costanza, alla ricerca e alla ricercatezza di uno squilibrio mai fine a se stesso, tra frenesia e meditazione, dove si fanno largo assidui e complessi richiami a film di fantascienza e di orrore, come ai fumetti e alla musica leggera, fino a che la realtà si confonde con il suo simulacro, come quando Middleman afferma che Wendy, seppur pacifista, probabilmente è un ottimo cecchino, dopo averne analizzato la mano che presenta i calli tipici di un’accanita giocatrice di Xbox. E il mondo è un luogo in cui un essere dal volto deforme può mimetizzarsi senza problemi al suo interno: è il caso dei Manicoidi, pacifici alieni che vivono sulla Terra, ma solo nei quartieri dei ricconi, dove possono facilmente passare inosservati tra le persone che presentano i postumi di orrendi lifting come neanche fossero tanti Joker. Perché l’essere umano solo osservando lo straniero può comprendere di essere egli stesso la maschera che indossa. Mentre quella che ad alcuni appare come la realtà è, all’opposto, un vero simulacro: un’esistenza filtrata attraverso lo schermo del televisore, superficie attraverso cui traspaiono miti infondati, quali i ciarlatani televendibili ad uso e consumo delle masse che propagano la mania degli americani per una psicoterapia più o meno banalizzata.
Tutto ciò genera una confusione che è propria del mondo e che The Middleman porta allo scoperto assieme a un effetto di lucido e freddo umorismo: come quando i due protagonisti si spacciano per agenti del Mossad o, addirittura, per un prete e la sua novizia, ma sempre indossando la medesima divisa di servizio, cambiando solo i documenti, ovviamente sempre falsi. Ciò è possibile perché l’immagine conta più della persona che essa raffigura. E uno splendido disordine aumenta di puntata in puntata, col crescere delle frequenza delle informazioni che passano come messaggi scritti in sovrimpressione: inizialmente chiari, poi sempre più ripetuti e ridondanti, fino a giungere al caos massimo quando vengono forniti i dati sugli orari degli avvenimenti portati in scena, ma secondo i fusi dei luoghi più disparati sul globo, realizzando un ragguaglio inutile che dileggia uno dei cliché dei film di spionaggio, depotenziando così qualsiasi tensione legata al tempo che scorre inesorabile.
Mentre accade ciò, allo sguardo alquanto gioioso e idealistico del maestro Middleman si oppone, non troppo lievemente, quello incuriosito e un po’ scazzato di Wendy, tipica giovane un po’ ribelle e annoiata di fronte al percorso iniziatico che le si prospetta di fronte, ragazza che unisce all’intelligenza un’ironia graffiante e un certo cinismo. Vero occhio critico, quindi, conscia di appartenere a un mondo trasfigurato nella sua stessa immagine, un fumetto in carne e ossa, eppure capace ancora di guardare la Terra come se si trovasse a distanza, lontana: sulla Luna, sì, ma sulla sua faccia visibile.


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