Americana - United States of Tara

A giudicare dalle prime puntate, United States of Tara, ultimo prodotto sfornato dalla prolifica Showtime, potrebbe essere definito unicamente come la ghiotta occasione per la talentuosa Toni Colette di sfoggiare l’abilità che le permette di calarsi, con tanto di relativi cambi d’abito, in almeno quattro personaggi diversi con una facilità e credibilità senza pari. La possibilità le è offerta da una squadra che annovera Steven Spielberg e la Diablo Cody ex spogliarellista e ora sceneggiatrice di successo (autrice degli script di Juno, grazie al quale ha vinto l’Oscar, e del recente Jennifer’s Body).
In realtà, tuttavia, nei primi tre quarti della serie, l’andamento è piuttosto lineare, se non ripetitivo, e si limita a raccontare la psicosi maniaco-depressiva che attanaglia la nostra protagonista, affetta da personalità multipla. Il corpo di Tara, infatti, in situazioni di forte stress, finisce per ospitare di volta in volta almeno tre altre personalità che agiscono e parlano senza che lei possa esercitarvi il minimo controllo, impedendole anche di ricordare i momenti in cui tali alter ego prendono il sopravvento. Sarebbe una situazione piuttosto drammatica se a sopportarla e supportarla non ci fosse una famiglia che prende il tutto con la giusta ironia e che, in fondo, ha imparato ad amarla per quello che è. Il tono della serie, allora, elude quasi tutte le possibilità del dramma per stabilizzarsi, invece, intorno ai colori della tenue commedia, risolvendo la totalità dei nodi drammaturgici dentro una struttura piuttosto classica da family drama. È infatti il nucleo familiare intorno la protagonista ad essere il solo e vero cuore di questa serie che richiama a sé tutti i suoi personaggi senza possibilità di digressioni. Così il buon marito di Tara (interpretato da John Corbett), il figlio adolescente Marshall, che studia George Cukor e ha in camera un poster de Il gabinetto del dottor Caligari, e la figlia poco più grande, incasinata nei rapporti familiari e alla ricerca della tanto agognata indipendenza, subiscono e insieme affrontano le conseguenze della psicosi della protagonista che, manco a dirlo, scompiglia non poco le loro vite. La serie sembra ribadire continuamente la forza del clan familiare che convoglia su di sé e neutralizza tutte le forze centrifughe che inviterebbero i suoi componenti a schizzar via a gambe levate da una donna il cui corpo finisce per ospitare bizzarri personaggi: ossia Alice, casalinga religiosa ispirata forse alla Bree di Desperate Housewives, Buck, ex veterano del Vietnam dai modi sboccati e T, sedicenne col perizoma in vista.
La forza della serie dovrebbe risiedere nella carica sorprendente dei comportamenti e delle entrate degli alter ego. Tuttavia essa, pur avvalendosi di toni ’fuori dalla norma’ (si pensi al figlio adolescente gay dichiarato), vanifica il suo potenziale innovativo in uno schema che, ripetitivamente, quasi ossessivamente, riporta la nostra Tara ad essere accolta in famiglia. Non è un caso allora che la parte più interessante dell’opera è proprio quella che vede incrinarsi tale logica, portando Tara lontano da casa, alla ricerca di ciò che nel suo passato ha scatenato la patologia. Il mistero, che colora i toni lievi della commedia di una nuance quasi da giallo investigativo, insieme a una piccola ribellione del figlio Marshall nei confronti delle azioni della madre, riaccende un movimento drammaturgico che nella prima parte della serie, invece, sembrava andasse ripetendosi senza slancio. Ancora una volta sembrerebbe la chiave psicologica (se non psicoanalitica) l’elemento che sempre più spesso i serial amano introdurre all’interno del racconto, per ’spiegare’ i loro personaggi. Tuttavia in United States of Tara, oltre e fuori ogni pretesa ’scientifica’, il sottotesto che sembrerebbe dover animare il tutto è l’idea che esista dentro ognuno di noi una lotta tra personalità diverse, in una sorta di dubbio amletico sulla vera natura di ciò che siamo e di cosa mostriamo. Eppure la serie, sotto questo punto di vista, più che acquistare forza, perde in appeal, nonostante il ritratto tagliente di una normale famiglia americana sull’orlo di una crisi di nervi, ben radicata in una contemporaneità esibita, della quale famosi titoli di film e videogiochi recentissimi sono segnali. La penna della Cody è riconoscibile e funziona soprattutto nel delineare i personaggi, originalissimi esemplari di una certa confusione esistenziale, inseriti in una società che, seppur invisibile, denuncia la propria, almeno altrettanta, pazzia. Ma sono solo le ultime battute finali della serie a spingerci ad auspicare una seconda stagione che possa e sappia imporre il giusto andamento e colore alle (dis)avventure di Tara e dei suoi familiari.
