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Amore, bugie e calcetto

Pubblicato il 5 aprile 2008 da Alessandro Izzi
VOTO:


Amore, bugie e calcetto

Il cinema non è mai stato davvero capace di raccontare lo sport.
Ha raccontato, anche troppo spesso ad essere sinceri, il sogno del giocatore che cerca, oltre al divertimento, la professione. Ha messo al centro delle sue storie le vite di personaggi che si consumano nel desiderio di “sfondare”, che si impongono sacrifici terribili, che si bruciano negli allenamenti portati avanti nelle più avverse condizioni meteorologiche. Ha detto di sacrifici e sudore, di infortuni e lacrime e di una meta, l’ultima, la più agognata: quella che te la devi conquistare nel fango.
Quel podio.
Quella medaglia.
Quella coppa.
E laddove il premio non arriva, quando gli applausi del finale non sono proprio per te, c’è sempre la consolazione dell’esserci stato, l’idea che, per un momento almeno, tu hai potuto fare la differenza.
Ma ad essere raccontato, in questo genere di film intriso di sentimento epico che ti fa sentire per un momento eroe della tua stessa esistenza, non è lo sport, ma lo spirito di sacrificio, il trionfo della volontà, l’idea che la tua vita l’hai dedicata ad un sogno e che, fintanto che sei andato avanti così, non hai vissuto invano.
Ci sono poi i film che si mettono al di là del guado, che accendono le macchine da presa quando i riflettori si sono spenti e i campi da gioco si sono svuotati. Quando sei rimasto solo tu al centro dello stadio e il sogno t’è già svaporato tra le dita. Sono le tragedie dei rimpianti e l’affollarsi dei ricordi: fino ad un momento fa sei stato vivo, ora sei come dimezzato. Intanto il mondo attorno a te cambia e tu non lo riconosci più. Giocavi inseguendo un ideale e i giovani quell’ideale non sembrano capaci di vederlo neanche col binocolo.
Ma ad essere raccontato qui non è ancora lo sport, semmai è la sua assenza. Sono i racconti della fine di un’epoca: la tua, ma anche quella del mondo nel quale eri vissuto e ti eri riconosciuto.
Lo sport, insomma, per il cinema è un eterno presente che sfugge allo sguardo, che rifiuta di farsi racconto, che resta al di fuori della storia. È un motivo ed un fine, un complemento di causa o uno d’effetto, quasi mai un soggetto.
Ora il piccolo miracolo che riesce a Luca Lucini nel girare Amore, bugie e calcetto è proprio quello di riuscire, nello spazio di un film corale forse un po’ lunghetto (ma era difficile fare altrimenti senza sacrificare i personaggi all’altare della sintesi) a far si che sia il calcio il protagonista del racconto mentre i vari personaggi sono semmai dei comprimari.
E ci riesce perché non cade nella classica trappola di raccontarci le storie di individui che vivono (o hanno vissuto) per lo sport, ma perché si concentra sulle esistenze di persone che giocano come vivono. La differenza non è di poco conto, anzi quella che abbiamo di fronte è una piccola rivoluzione copernicana nelle convenzioni dei film di genere.
La conseguenza sul piano organizzativo della pellicola, infatti, è enorme. Se in pellicole di argomento analogo ad essere messa in scena era la frattura tra il momento sportivo (luogo dell’avverarsi di un sogno) e la vita normale (in cui quel sogno va costruito o ricordato), qui non c’è separazione reale tra rettangolo di gioco e vita quotidiana (anche perché è lo sport stesso ad essere quotidiano, agonistico, ma mai professionale). In questo modo le partite trasbordano dallo spazio contingente del campo sportivo e si travasano di peso nel mondo “reale”.
Detta in altri termini è la stessa strutturazione del racconto a costruirsi sul modello di una partita di calcetto. I personaggi, attanti del racconto, assumono, così, su quel vasto campo che è la vita (e la sceneggiatura) quella posizione che cuore, gambe, talento e polmoni hanno ritenuto più opportuna. Ecco allora Vittorio che compete con la sua posizione di attaccante incapace ad accettare i limiti dell’età ormai avanzata e che si dopa per giocare con il figlio ed assume il viagra per “farsi” le sue compagne. Ed ecco Adam, figlio di Vittorio, che per non condividere le colpe e il modus vivendi del padre, preferisce giocare in porta, a difesa di valori ed idee che non riesce a capire tuttavia. Ed ecco Lele, che diviso tra lavoro e famiglia, sconta il suo perenne correre tra un mondo e l’altro nella posizione del mediano che deve risolvere la propria crisi matrimoniale.
Ogni personaggio ha la propria ragion d’essere, ma ognuno sogna una posizione diversa, vorrebbe, sia pure solo per qualche breve attimo, essere un altro.
Il racconto, impostato su un vero e proprio schema di gioco, vive nella magnificazione del calcio come catarsi e trasfigurazione della vita. E lo si gode come una partita di quelle che non ti devono far pensare necessariamente qualcosa, ma che non per questo sono vuote. Non un blockbuster di italico modello, insomma, ma un film che flirta con la grande tradizione della commedia italiana aggiornandola al gusto e ai problemi del nuovo millennio.
Funziona soprattutto grazie al gioco di squadra degli attori: Claudio Bisio è un prorompente attaccante che non si tira indietro di fronte agli assist quando è in scena la moglie interpretata da Angela Finocchiaro che, come apre bocca, ti fa goal. Chiara Mastalli, supera i limiti delle notti prima degli esami e dimostra che, quando può, i personaggi li costruisce oltre gli stereotipi. Andrea Bosca ti sorprende perché riesce a superare l’invisibilità del portiere prima del calcio di rigore con fragilità rabbiose che riescono solo a chi ha fatto molto teatro.
Certo non tutto funziona sempre bene. Il buonismo imperante nel cinema italiano che vuol far commedia, ad esempio, il film qualche volta te lo dribbla (la paternità del bambino non è dichiarata, una bugia non viene svelata) e qualche volta ti ci va a sbattere contro (il cattivo ricacciato dalla squadra, le storie coniugali che si ricompongono tutte verso un solare futuro). Eppure Amore, bugie e calcetto ti fa simpatia. Non ti annoia. Te lo guardi sorridendo e quasi non ci credi che Lucini è lo stesso regista di 3 metri sopra il cielo.


CAST & CREDITS

(Amore, bugie e calcetto); Regia: Luca Lucini; sceneggiatura: Fabio Bonifacci; fotografia: Manfredo Archinto; montaggio: Fabrizio Rossetti; interpreti: Claudio Bisio (Vittorio), Angela Finocchiaro (Diana), Filippo Nigro (Lele), Claudia Pandolfi (Silvia), Andrea De Rosa (Piero), Chiara Mastalli (Viola), Max Mazzotta (Venezia), Andrea Bosca (Adam), Marina Rocco (Martina); produzione: Cattleya; distribuzione: Warner Bros. Pictures Italia; origine: Italia, 2007; durata: 115’; webinfo: Sito ufficiale


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