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Animals in love

Pubblicato il 25 agosto 2008 da Lorenzo Vincenti


Animals in love

Il documentario naturalistico sugli animali viene solitamente considerato un prodotto gradevole, di facile presa su quella parte di pubblico desiderosa di veder coniugato in un unico film la tendenza all’intrattenimento e una buona dose di funzione pedagogica. Vedere le dinamiche di un mondo affascinante e sempre misterioso come quello animale riesce automaticamente a suscitare in chi è spettatore una sana e, in qualche modo, salvifica depurazione da tutto ciò che di marcio muove l’umanità. Sembra quasi che questa sorta di accondiscendente benevolenza nei confronti di un sottogenere che indaga i segreti di pesci, mammiferi e uccelli derivi da una inconsapevole esigenza di redenzione che l’essere umano cerca di soddisfare rendendo omaggio alla parte bella e incontaminata del pianeta terra. Questo non vuol dire che Microcosmos, Il popolo migratore, Profondo blu o La marcia dei pinguini, solo per citare i più importanti film degli ultimi anni, abbiano tutti sbancato il botteghino o fatto segnare incassi da record. Tutt’altro! Si è avvertita però una attenzione maggiore, una diversa sensibilità da parte del pubblico nei confronti di una tendenza cinematografica da sempre confinata in televisione.

Animals in love è solo l’ultimo esempio di questa offerta ecologico-divulgativa degli ultimi anni! Segna contemporaneamente l’esordio alla regia di Laurent Charbonnier, esperto direttore della fotografia di documentari naturalistici, e purtroppo (paradossalmente) il punto di rottura con l’elevato standard raggiunto dai film precedenti appena menzionati. Intendiamoci, la qualità delle immagini, l’immenso lavoro di ricerca, di documentazione sugli animali (ce ne sono alcuni veramente strani e sconosciuti) e sul loro rispettivo rituale amoroso (che è il nodo attorno a cui si sviluppa la pellicola) c’è ed è ben visibile sullo schermo. Ma quello che manca ad Animals in love e che invece i suoi predecessori possiedono è una struttura omogenea e una coerenza narrativa capaci di sostenere il film per la lunga durata che il grand format impone. Gli evidenti limiti organici del film sono mascherati così da un’ottima qualità fotografica e da una organizzazione produttiva imponente che ha permesso all’autore e alla sua troupe di lavorare al film per lungo tempo (2 anni di produzione e 500 giorni di riprese) e soprattutto di girare in ogni parte del mondo, raccogliendo immagini di oltre 170 specie di animali. Questo, invece di arricchire l’opera e renderla interessante, si è rivelato però, ad una attenta analisi, il punto di maggior debolezza della stessa, proprio perché ha innescato un procedimento di inclusione continua in fase di montaggio che ha portato il film a cadere in un difetto di catalogazione banale (80 sono le specie inserite nella versione definitiva). Un pot-pourri di specie diverse oltretutto presentate attraverso uno schema piuttosto disordinato e confusionario secondo il quale alcuni animali compaiono sullo schermo in maniera fulminea prima di scomparire definitivamente dal film e lasciare lo spettatore in attesa di un approfondimento che non arriva mai. La carente scrittura rende in definitiva Animals in love un film frammentario i cui diversi segmenti (le fasi dell’amore) vivono in un completo ed autonomo isolamento, senza alcun collegamento ovvero senza una reale coesione che possa garantire all’opera quella coerenza narrativa già rimproverata in precedenza. Una plurima frattura interna al testo quindi che, come se non bastasse, viene ulteriormente accentuata da una strana e quanto mai anomala scomparsa della voice-over iniziale. Se in un primo momento del film quest’ultima sembra infatti volerci condurre per mano nell’amorevole intimità degli animali, dopo poche battute il suo suono si eclissa improvvisamente, salvo poi riemergere (inutilmente) nel finale dell’opera quando la mente di chi guarda ha già metabolizzato tutto e non ha più bisogno di altre interferenze.
Elementi positivi del film di Charbonnier? Oltre alla già citata qualità delle immagini e delle riprese, c’è da sottolineare sicuramente una colonna sonora basata sulla commistione tra rumori, sospiri, canti d’amore della natura e i contrappunti musicali del maestro Philip Glass e l’apprendimento di una notevole varietà di strani e coloriti comportamenti adottati dagli animali durante l’intero processo amoroso. C’è da rimanere estasiati nel vedere atteggiamenti, gesti e rituali così diversi nella forma dall’essere umano ma in fondo così simili a noi nella necessità di esprimere il lato sentimentale di ognuno e nella energia che si investe per raggiungere l’essenza più pura dell’amore. Ecco che almeno la funzione didattica reclamata da un’opera come questa è fatta salva da una infinita quantità di informazioni interessanti e immagini sorprendenti alle quali lo spettatore, non ancora indottrinato da anni di Piero Angela e Superquark, potrà attingere senza limiti.


CAST & CREDITS

(Les Animaux Amoureux) Regia: Laurent Charbonnier; sceneggiatura: Laurent Charbonnier; fotografia: L. Charbonnier, J.P. Macchioni, G. Sauvage, T. Thomas; montaggio: Axelle Malavieille, Jacqueline Lecompte; musiche: Philip Glass; produzione: MC4, France 3 Cinéma, TFI International, JMH; distribuzione: Mikado; origine: Francia; durata: 85’; web info: www.lesanimauxamoureux.com.


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