Annabelle 3

Il bisogno di ragionare per saghe nasconde, certo, prima di tutto l’aspirazione alla fidelizzazione dello spettatore all’interno di un meccanismo di distribuzione che, nel corso degli anni, si è fatta vasto e incoerente.
Soprattutto è un ammiccamento alle possibilità seriali del piccolo schermo che, con l’avvento di Internet e dei canali tematici e on demand, ha già da tempo sfondato i limiti del formato diventando un qualcosa di amorfo e di difficilissima definizione.
Estetica e commerciabilità si confrontano sul terreno della comunicazione in una corsa all’ibridazione che non conosce precedenti nella pur brevissima storia del cinema (e del fumetto che, almeno in parte, è da considerarsi corresponsabile di questa svolta).
Così mentre da più parti si comincia a capire quanta ragione avesse Greenaway nel gridare, qualche anno fa, che il cinema (almeno quello d’autore) è morto, dall’altra si saluta la proliferazione di saghe e contro saghe che sfondano lo spazio della narrazione chiusa ammiccando all’utopia di una narrazione infinita in cui tutto ricade in tutto e ogni cosa si connette a tutte le altre.
Avviene, come è ovvio, nei cinema della Marvel, che ha creato un suo cinematic universe in cui più saghe si intrecciano con salti logici spesso azzardatissimi. Ma avviene, in misura minore, anche nell’horror, dove però manca il punto di partenza del fumetto a fare da base solida su cui improvvisare nuove soluzioni.
Ecco così emergere fenomeni paradossali, come i mostri Universal che definiscono, nel comune riferimento ai classici degli anni ’30, la possibilità di creazione di un universo con leggi tutte sue.
Come ecco emergere, grazie alla fantasia di James Wan, l’universo di The Conjuring che si basa sulle avventure di una coppia di esorcisti che affrontano gli spiriti malvagi col cipiglio sicuro di chi brandisce croce e preghiere col pragmatismo dei film Hammer.
I Warren, tra un’avventura e l’altra, così ci suggerisce questo Annabelle 3, raccolgono, catalogano e mettono in sicurezza vari artefatti del demonio. La stanza degli orrori che sortisce da questa azione non certo da emulare, religiosamente benedetta ogni settimana, più che essere l’accidente narrativo dal quale prende il via il film, non è altro che l’espressione dell’equazione alla base della costruzione di universi coerenti e alternativi tipici del cinema blockbuster alla Marvel.
Secondo questa equazione il film è appunto niente più che una stanza popolata da personaggi-funzioni che possono di volta in volta essere attivate determinando non solo ciò che accade nel racconto, ma anche link con film precedenti o successivi della saga. La narrazione perde così la sua centralità e diviene mero accessorio di un meccanismo combinatorio in cui i personaggi non sono che ingranaggi di un continuo processo di agnizione. Per lo spettatore a contare non è più quel che fa, ma il suo essere riconosciuto come parte di una narrazione precedente o successiva. Conta, quindi, non per quel che è qui e ora, ma per quel che è stato o sarà in altri film. Nella visione, quindi, lo spettatore deve trarre piacere non tanto da quel che vede ora, ma dalla sua capacità di “ri”conoscere quel che vede alla luce di tutti gli altri film.
In fondo in Annabelle 3 non succede veramente nulla: due genitori veggenti lasciano la figlia sola a casa con la babysitter. Un incidente di percorso (le cui motivazioni raramente ci sono sembrate così posticce) libera le forze del male che si scatenano in una notte di tregenda che finisce senza che nessuno si faccia male veramente. A scatenarsi sono figure secondarie, mentre Annabelle, la mefitica bambola già sin troppo protagonista di altri due film, si limita a una comparsata di lusso.
La linea narrativa è di esemplare linearità: liberata per caso la peggiore delle iatture dalla teca benedetta in cui era stata rinchiusa, Annabelle deve essere imprigionata di nuovo. Punto. Non c’è altro ad aggiungere succo alla narrazione.
Certo, gli spaventi ci sono tutti e stanno al posto loro, ma tutto finisce nel nulla da cui era partito. L’ansia della fidelizzazione del pubblico in un meccanismo seriale finisce così per precipitare nel vuoto di una narrazione nulla. E per chi è già abituato alle regole di un certo cinema di atmosfera e di spavento, il continuo ammiccamento alle aspettative del pubblico per produrre i pochi salti sulla poltrona che il film regala, produce per lo più sbadigli.
Peccato, in fondo, perché il regista ha un certo talento nel giocare con le atmosfere, ma il film tende ad essere inutile e inerte come i pochi personaggi di contorno di questo che si vorrebbe quasi un kammerspiel orrorifico.
(Annabelle 3); Regia: Gary Dauberman; sceneggiatura: Gary Dauberman; fotografia: Michael Burgess; musica: Joseph Bishara; interpreti: Patrick Wilson, Vera Farmiga, Mckenna Grace, Madison Iseman, Katie Sarife, Emily Brobst, Steve Coulter, Eddie J. Fernandez, Stephen Blackehart, Michael Cimino; produzione: Atomic Monster,New Line Cinema, RatPac-Dune Entertainment; distribuzione: Warner Bros. Pictures.; origine: Usa, 2019; durata: 106’
