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Anplagghed al cinema

Pubblicato il 25 novembre 2006 da Alessandro Izzi


Anplagghed al cinema

E’ difficile parlare di un film come Anplagghed al cinema. L’ultima fatica del trio comico Aldo, Giovanni e Giacomo, infatti, sfugge da ogni considerazione critica preconfezionata e si pone, di fronte allo spettatore, come una vera e propria sfinge indecifrabile ed incomprensibile.
Le prime complicazioni sorgono già quando si cerca di incasellare la pellicola all’interno del rassicurante recinto di un qualsiasi genere cinematografico.
Anplagghed, checché ne dicano i trailers (bruttissimo quello che funesta i palinsesti televisivi) o le locandine pubblicitarie, non è assolutamente una commedia perché del genere manca il respiro, la capacità di definire un intreccio convincente e una galleria di personaggi più o meno credibili.
Qualche appiglio alle origini più lontane e secentesche del genere lo possiamo rintracciare nell’affollarsi di caratteri fissi e figure stereotipate che vanno man mano a comporre davanti allo sguardo dello spettatore una galleria di maschere perfette per il nuovo millennio. Anche il gioco apparentemente improvvisativo di molte delle gag che vanno a comporre la "non struttura" di questa pellicola rimanda alla stagione d’oro della Commedia dell’Arte, ma pur accettando questo coltissimo rimando al passato, dobbiamo poi ammettere che quella che abbiamo di fronte, veicolata dallo sguardo freddo e oggettivo delle macchine da presa che riprendono lo spettacolo e lo fissano sul marmo della celluloide è, piuttosto, la mummificazione del teatro comico, la sua riduzione a simulacro (anche un po’ noioso) di un’esperienza "altra" un tempo vitale e complessa.
Anche riallacciarci alla tradizione del grande film comico, che pure si voleva come una sommatoria abbastanza diversificata di gag senza il bisogno di ancorarsi alla logica di un intreccio, di una trama, del disegno unitario di una storia, funziona relativamente poco perché manca alle gag di Aldo, Giovanni e Giacomo la consapevolezza del mezzo che stanno impiegando. Il comico cinematografico, anche quando è profondamente verbale, si basa sulle regole di una grammatica molto rigorosa e sul possesso di tempi e ritmi che sono assolutamente legati allo scorrimento dell’immagine su pellicola, ai limiti dello schermo cinematografico e alle possibilità offerte dall’utilizzo dei corto circuiti possibili tra audio e video. Le gag presentate nel film, viceversa, sono gag teatrali, nascono per il teatro e in esso trovano l’unico veicolo possibile di espressione. Si susseguono sulla superficie dello schermo senza che allo spettatore possa mai venire in mente che esse possano esistere al di fuori del tavolato di un palcoscenico. Quando anche il pubblico al cinema può arrivare, per qualche momento a dimenticare l’origine teatrale delle gag, interviene qualche ripresa sul pubblico dello spettacolo, cui il trio comico costantemente si rivolge (e questo abbattimento costante della quarta parete è anch’esso diretta discendenza della Commedia dell’Arte), a ricordarci che il film che stiamo vedendo è pur sempre la ripresa fredda ed oggettiva di uno spettacolo che ha preso corpo in un altro luogo e in un altro tempo.
Rispetto ad un film come Tu la conosci Claudia in cui i tre attori/maschere tentavano di fatto di traslare la propria comicità assolutamente teatrale nel contesto del linguaggio cinematografico, Anplagghed al cinema ha un merito sicuro: quello di essere la definitiva presa di consapevolezza che i tre personaggi possono avere una precisa funzione e una loro ragion d’essere solo a teatro.
O nella peggiore nello spazio più neutro di una serie di spot per note marche di telefonia.
Di qui la considerazione finale che l’unico genere nel quale Anplagghed può, di diritto, riconoscersi è quello del documentario. Ma non siamo certo dalle parti del miglior documentario. Dietro la macchina da presa non c’è un Jonathan Demme o un Oliver Stone, ma solo il videocchio di una troupe televisiva che selezione e sceglie le sue immagini non per produrre, dallo spettacolo di partenza, lo spazio per una riflessione personale, ma solo il documento di un’esperienza ormai passata. In altre parole Anplagghed non è Cinema che ripensa, rilegge e reinventa il Teatro, ma solo una mera riproduzione (a camera prevalentemente fissa con qualche inserto ravvicinato) di un evento ormai morto.
Presentato al cinema come una sorta di fenomeno comico da contrapporre alla prossima invasione di cinepanettoni (ma se i distributori rivelano una certa convinzione sul potenziale commerciale della pellicola facendola uscire in uno spropositato numero di copie, non da meno il periodo scelto per l’uscita - fine novembre - rivela una cautela che la dice lunga) Anplagghed è né più né meno che la ripresa televisiva di spezzoni di spettacoli riprese in serate diverse e in momenti diversi. Della ripresa televisiva, il film mantiene la sostanziale anonimia, mentre il montggio si limita a giustapporre e ad unificare gli sparsi frammenti.
Ne vien fuori un vero e proprio monstrum che scontenta un po’ tutti. Anche perché, nonostante la verve comica, è irrimediabilmente noioso.

(Anplagghed al cinema); Regia: Rinaldo Gaspari; testi: Aldo Baglio, Giovanni Storti, Giacomo Poretti, Giorgio Gherarducci, Marco Santin, Carlo Taranto, Valerio Bariletti, Arturo Brachetti, Cesare Alberto Gallarini; musica: Gino Marcelli; interpreti: Aldo Baglio, Giovanni Storti, Giacomo Poretti, Silvana Fallisi; produzione: Agidi srl; distribuzione: Medusa; origine: Italia, 2006; durata: 100’; webinfo: Sito Agidi

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