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APOCALYPTO

Pubblicato il 5 gennaio 2007 da Nicola Cordone


APOCALYPTO

In waal ma’ saajakta.” - Figlio mio, non aver paura

(Cielo di Selce a Zampa di Giaguaro)

Portate a compimento le missioni, affidate loro dal popolo, da Dio o da altre divinità, gli eroi di Mel Gibson riescono a sconfiggere, al termine di un percorso originariamente spirituale, il sentimento innato della paura della morte. Il sacrificio di se stessi è il mezzo attraverso il quale raggiungere tale (nobile?) scopo: ce lo testimoniano le gesta impavide del ribelle scozzese William Wallace e le ultime dodici ore di vita di Gesù, segnate da un calvario storicamente carico di necessità. Il cinema di Gibson esorcizza questa atavica ossessione mediante la rappresentazione di itinerari irti di tragiche e adamantine difficoltà, affrontate con coraggio e consapevolezza, proprio perché percepite come ineluttabili: l’eroe, sia un guerriero scozzese del XIII secolo o il salvatore dell’umanità, desidera ostinatamente tornare nei luoghi ove ha impiantato le proprie radici; il giovane Zampa di Giaguaro sogna di riappropriarsi della foresta che lo ha visto nascere e in cui hanno vissuto i suoi padri, e di riabbracciare la famiglia; il (pre)sentimento della perdita di qualcosa di più universale del proprio nucleo elementare organizzato, pervade diffusamente il mondo raccontato in Apocalypto, e le corse disperate del guerriero maya lungo le rare foreste pluviali di Catemaco, per raggiungere la moglie incinta e il figlio piccolo, divengono metafora del tentativo affannoso di tenere in vita un patrimonio culturale che sta per essere distrutto da una società ripiegata su se stessa, vittima delle logiche e degli istinti che da sempre logorano, fino a cancellarle, le civiltà: è questa la sottile linea rossa che lega passato e presente, il magma della civiltà maya al caos contemporaneo.

La sequenza iniziale della caccia ai tapiri evidenzia, per la sua ferocia, il rapporto conflittuale tra l’uomo e la natura: le due specie sembrano odiarsi vicendevolmente e l’una tende alla sopraffazione dell’altra in nome dell’auto conservazione, ma soprattutto del dominio sulla foresta; non è un caso che protagonista del sogno di Zampa di Giaguaro sia una iena digrignante e minacciosa, forse la stessa che incontrerà più tardi, come uno degli ultimi ostacoli da superare prima di salvare la famiglia; ma in altri vari episodi, la natura si mostra malvagia nei confronti dell’essere umano: serpenti avvelenati causano la morte di protagonisti primari della vicenda, arnie di api devastano corpi muscolosi e imponenti, pietre di fiume su cui rovinano le membra dei giovani guerrieri Holcane… L’attenzione per alcuni dettagli ambientali e lo sguardo prolungato su momenti narrativi di non vitale rilievo (lo squartamento iniziale del tapiro o il morso della iena al soldato) sono piccole spie della vocazione al realismo estremo che si è consolidata nella poetica dell’autore con La Passione di Cristo: le altrettanto crude scene di combattimento che coinvolgono le diverse tribù, la scelta di ricostruire la storia in Messico, antico baluardo del regno Maya, l’edificazione di piazze e piramidi straordinariamente simili a quelle che caratterizzavano le città di un tempo, la meticolosa e puntuale restituzione dei costumi, il maniacale lavoro di makeup, la selezione degli attori in base alla loro fisicità e l’utilizzo del Maya Yucateco quale dialetto originale parlato nel film, sono chiari segnali di un preciso orientamento etico-estetico, che l’autore ricerca costantemente nella sua tenace ansia sperimentale.

Nel cinema di Gibson coesiste, accanto all’istanza iperrealista anche quella spettacolare, che è stata il bersaglio dei suoi detrattori (leggi) soprattutto per quanto concerne La Passione: l’uso della tecnologia più avanzata restituiva, per paradosso, la rappresentazione dell’evento - che nelle intenzioni doveva apparire come il più fedele possibile alla realtà – in modo artificiale,alterando lo spirito dei contenuti. Ma in questo film la spettacolarità è assolutamente funzionale all’epicità del racconto e le sbalorditive panoramiche sulla città che ospita la piramide delle torture, supportata dalle vorticose oscillazioni del dolly, contribuiscono con le scenografie ed il chiasso della folla brulicante, a riconsegnare l’anima di una cultura contraddittoria e, nell’ultima stagione di vita, intrisa di violenza e morte. Il movimento è una costante in Apocalypto: i lunghi carrelli che accompagnano gli inseguimenti nella foresta sono espressione di una dinamicità che congloba anche gli elementi interni all’inquadratura nei rari momenti di staticità; un montaggio veloce, mozzafiato, scandisce il ritmo delle sequenze. L’ansia sperimentale viene placata dall’esercizio delle enormi potenzialità tecniche della Genesis, che enfatizza velocità e movimento grazie ai suoi effetti stroboscopici e consente di girare in condizioni climatiche proibitive con luce naturale o nella semioscurità. Arthur Koestler sosteneva che “la vera creatività inizia spesso dove finisce il linguaggio” e il regista australiano sembra condividere appieno tale affermazione, relegando la parola ai margini del disegno complessivo del film; scarno è infatti il suo contributo informativo e narrativo, e la scelta di adottare l’idioma originale non risponde esclusivamente ad una esigenza realistica, ma contribuisce a valorizzare gli effetti visivi del film e, vista la sua inintelligibilità, ad astrarre lo spettatore dalla sua realtà per proiettarsi, senza più difese, nell’universo rappresentato. La carnalità dei film di Gibson trova piena espressione proprio nei rapporti, tradizionali o dialettici, che si instaurano tra immagine e suono. I kolossal del regista australiano differiscono dalle analoghe megaproduzioni hollywoodiane perché pongono l’accento sulla spiritualità e sui misteri delle culture osservate, per quanto superficiale possa apparire questo sguardo.


CAST & CREDITS

Apocalipto; Regia: Mel Gibson; soggetto e sceneggiatura: Mel Gibson, Farhad Safinia;fotografia: Dean Semler;montaggio: John Wright; musiche: James Horner; interpreti: Rudy Youngblood (Zampa di Giaguaro), Dalia Hernandez (Sette), Carlos Emilio Baez (corsa di tartarughe), Raoul Trujllo (Lupo Zero), Gerardo Taracena (occhio di mezzo), Fernando Hernandez Perez (Gran Sacerdote); produzione: Mel Gibson (Icon); distribuzione: Eagle Pictures; durata: 138’. web info: Sito ufficiale


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