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Arrivederci amore, ciao

Pubblicato il 25 febbraio 2006 da Carlo Dutto


Arrivederci amore, ciao

Giorgio Pellegrini ha scelto il male, lo ha cercato, sviscerato, praticato. Giorgio è la parte peggiore della generazione sessantottina, ha scelto il terrorismo, quindi la lotta armata in Centro-America, ha ucciso il suo miglior amico, all’indomani della caduta del Muro di Berlino. Il ritorno in Italia non farà che aumentare l’insostenibile leggerezza della criminalità che pervade ogni parola, gesto e pensiero di Giorgio Pellegrini. Con queste premesse ha inizio la storia dell’ultimo, sorprendente lavoro firmato Michele Soavi. Il regista milanese già autore di horror di stampo argentiano e di polizieschi televisivi di notevole successo (su tutti Uno bianca, Ultimo e Ultima pallottola) e in attesa della fiction sulle Brigate Rosse Attacco allo Stato, ha veramente colto nel segno portando sul grande schermo uno dei grandi successi letterari degli ultimi anni, l’omonimo libro dello scrittore Massimo Carlotto. Un libro scritto per immagini, con lo stile che da sempre caratterizza l’inventore del personaggio dell’Alligatore, che trasuda crudezza e realismo ad ogni riga; una scrittura brillante, ironica e sadica nello sciorinare ogni dettaglio della vita di un criminale. Un moderno entomologo del crimine, lo scrittore padovano, che mantiene e costruisce in un climax irresistibile un’ambigua fascinazione per tutti quegli aspetti quotidiani, bassi e solitamente laterali che costituiscono, invero, il sostrato di una vita al massimo. Dialoghi secchi e senza fardelli di morale, frasi spezzate, come le ossa di numerose vittime, odore di polvere da sparo e vischiosità del sangue schizzato. Soldi accartocciati in tasca come carta delle caramelle, attese snervanti, retrobotteghe e acque stagnanti. Sono numerosi e crudi i particolari e i dettagli pornografici, nell’accezione in cui vengono svelati i retroscena di una rapina, di un omicidio su commissione, di un incidente provocato ad arte. La vita di un uomo che ha scelto il crimine, senza ragioni socio-politiche, ha scelto l’omicidio e il tradimento in un percorso, è il caso di dirlo, a ritroso verso una redenzione che, grazie ad una società che premia sempre i vari Furbetti di ogni campo e stampo, non potrà che premiare anche Giorgio Pellegrini. Una vita che non ammette seconde possibilità, che ha bisogno della violenza per esprimere l’amore e si serve delle persone come fossero soprammobili. Tutto questo Soavi ha sapientemente dosato e osato, cogliendo in nuce lo spirito crudo e sincero della vicenda raccontata. Grazie a una macchina da presa fluida nel penetrare nei luoghi e negli interstizi varcati dal criminale Pellegrini, tra cui la soggettiva iniziale dell’alligatore morto, prima di una lunga serie di citazioni che costellano questo polar mediterraneo. Ma anche lo scherzo andante della soggettiva della mosca nel tribunale, due esempi che ricordano le visioni animalesche del Phenomena di argentiana memoria. Su tutto domina una scenografia naturale del Nordest-locomotiva d’Italia fatta d’acqua, presente ovunque, ossessiva, polanskiana, mai limpida, l’acqua dei canali di campagna dove si scaricano veleni industriali, melme che alzano vapori e nebbie. Un’acqua marcia che imprigiona i frutti delle azioni marce, invasiva e colma di detriti. Qui si intersecano le vite di donne sacrificate in nome del piacere e del denaro, criminali di guerra figli della recente e nebulosa storia balcanica, un poliziotto corrotto come mai si è visto, corrieri della droga e rampanti avvocati in odore di politica. Fondamentale il ruolo della musica che, grazie al traino della canzone di Conte Insieme a te non ci sto più, per l’occasione rieditata con un nuovo titolo, costituisce il personaggio in più, una sorta di coscienza latente di Pellegrini, visti i momenti cruciali in cui, diegeticamente, accompagna le atrocità del criminale. Come se non bastasse, le numerose scene d’azione sono veri e propri fendenti nello stomaco, nulla a che fare con la visione romantica ed edulcorata del criminale ribelle. Una bella sospresa, questo diario di un killer non-sentimentale, che pone le basi per il rilancio del genere polar in Italia, che grazie ad illustri progenitori, dal Germi del Testimone ai recenti Imbalsamatore di Garrone e al sottovalutato Qui non è il paradiso di Tavarelli, sta vivendo una stagione di grande rilancio. Assolutamente indimenticabile l’azzeccatissimo protagonista, Alessio Boni, che adottando un vago accento veneto si avvicina, anche grazie ad una certa somiglianza fisica, al padovano Carlotto, ma soprattutto disegna un personaggio gratuitamente violento e dalle sfumature inquietanti. Quindi un Michele Placido sadico e grottesco vicequestore Anedda, re dei poliziotti corrotti al di sopra di ogni sospetto.
Un film in cui finalmente una tazza di candido latte offerta alla moglie ammalata non contiene solo sospetti....

Regia Michele Soavi; Soggetto tratto dall’omonimo libro di Massimo Carlotto; Sceneggiatura Marco Colli, Franco Ferrini, Heidrun Schleef, Michele Soavi, Gino Ventriglia; Fotografia Gianni Mammolotti; Montaggio Anna Napoli; Musiche Andrea Guerra e la canzone Insieme a te non ci sto più di Paolo Conte cantata da Caterina Caselli; Scenografia Andrea Frisanti; Costumi Maurizio Millenotti; Interpreti Alessio Boni (Giorgio Pellegrini), Michele Placido (vicequestore Anedda), Isabella Ferrari (Flora), Alina Nedelea (Roberta), Carlo Cecchi (avvocato Sante Brianese); Produzione Studio Urania, Raicinema, Wild Bunch (Francia); Distribuzione Mikado Film; Origine Italia, Francia 2006; Durata 107’; Web info Mikado film

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