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Avi Avital - Vivaldi

Pubblicato il 11 aprile 2015 da Alessandro Izzi


Avi Avital - Vivaldi

Di Venezia Avi Avital sembra cogliere prima di tutto l’essenza dei ponti.
L’architettura dei palazzi che sfidano l’acqua con i loro mattoni gravidi di umido o l’innalzarsi svelto delle chiese nelle poche e piccole piazze, passano, nel suo sguardo, in secondo piano. Sono, in fondo, le cose che notano i turisti, quelle che servono per le foto in posa degli album digitali da condividere sui social.

Avi Avital, piuttosto, da viaggiatore musicale qual è, pensa al passato. Pensa a quegli eroici coloni che, scappando dalla guerra sulla terraferma, costruivano case negli isolotti sparsi delle laguna. Pensa al loro stringersi dinnanzi al portento del mare e al loro bisogno di unire pezzi di terra distanti. E pensa appunto ai ponti che servono a legare, a mettere in contatto, a superare una barriera.
Di Venezia, il grande interprete, coglie prima di tutto la sua dimensione di porto, di luogo di incontro e questa dimensione di apertura e disponibilità culturale mette al centro del suo modo di eseguire Vivaldi.
Per lui la pagina scritta non è un dato immutabile, ma un crocevia, un luogo di mutuo scambio, un territorio aperto a infinite possibili riletture.
Non c’è stasi nell’interpretazione di Avi Avital, ma un continuo “tendere a”, un continuo “muovere verso”, una dimensione ondivaga, come quel mare che sciaborda sulle pietre dei porticcioli e vicino ai pali che fanno da ormeggio per le gondole.

Ci sono echi e risonanze nel Vivaldi di Avital: il ricordo del jazz e quello della musica pop, l’impressione del tango e il sapore speziato della musica etnica, Bach e Dvorak.
Ma non perché Avi Avital suoni Vivaldi come fosse un tango (che sarebbe impresa se non altro discutibile), ma perché scopre nella musica del prete rosso già il seme di tutte le altre musiche possibili. E quel seme lo fa germogliare all’interno di una prassi esecutiva che lascia Vivaldi al tempo che gli spetta consegnandolo, però, anche al presente eterno ed evanescente dell’esecuzione.
La sua oltre a essere filologia della pratica è, soprattutto, filologia dello spirito.
Il grande compositore veneziano, nelle sua interpretazione, ma anche nel lavoro di riarrangiamento delle tante pagine che non erano per mandolino, rimane quell’autore che tutti conosciamo e che ha il suo posto nella Storia, me perde per strada gran parte della polvere che gli si è depositata addosso con il passare degli anni.
Il suo Vivaldi è un Vivaldi curioso e nervoso. Un autore che si guarda intorno e sperimenta a ogni passo. Che gioca con le composizioni timbriche e che non si limita solo a impaginare armonie a terrazza entro cui chiudere l’ascoltatore e ogni voglia di meraviglia.
In questo Vivaldi c’è ricerca ed energia e stupisce come sia possibile che pagine così note sappiano farsi ancora scrigni di tante, infinite sorprese.

In L’Estate, ad esempio, (l’unica delle quattro stagioni ad aver trovato spazio su disco), il passaggio dall’originale per violino a questa brillante trascrizione per mandolino apre spazio a tutta una serie di nuovi, possibili intarsi nel corpo vivo della composizione.
Nel primo movimento, dopo l’apertura sospesa per la “Languidezza del caldo”, il primo allegro (“Il Cucco”) diventa un ripido duetto tra mandolino e clavicembalo che permette al primo di far emergere tutta la sua elettricità pizzicata. Successivamente nella sezione della “Tortorella” il basso apre un duetto d’echi con il solista a tratti inquietante in cui emerge prima di tutto la limpidezza del gesto sonoro. Tutte le imitazioni del canto degli uccelli del primo movimento, in effetti, perdono, nella trasposizione per uno strumento pizzicato, la loro dimensione mimetica e diventano “oggetti” sonori riproposti nella loro adamantina perfezione. Viceversa il “pianto del villanello”, ultimo momento solistico dell’allegro prima del ritornello conclusivo, acquista una sinuosità che ne esalta l’andamento rapsodico.
Il secondo movimento, più che una trasposizione sembra una trasfigurazione dell’originale per violino con il canto che trova un suo spazio tra i ritmi puntati dei violini, piuttosto che contrapporvisi.
E si potrebbe continuare ancora a lungo.

Accompagnato perfettamente dai membri della Venice Baroque Orchestra, Avi Avital spinge all’estremo tutte le possibilità del suo strumento e non si tira indietro di fronte a nessun artificio per dare alle sue orchestrazioni una dimensione continuamente cangiante, ma mai incline al semplice bisogno di stupire per stupire.
Un disco di interprete, insomma, in cui apprezziamo l’energia, il virtuosismo e la profondità dell’esecutore. Ma anche e soprattutto un bellissimo CD vivaldiano che non smetterà di incantare e di cui si parlerà a lungo.
Un disco infine completato da una notevole esecuzione del Trio RV 82 con Mahan Esfahani e Ophira Zakai e dalla chicca La biondina in gondoleta con la voce di Diego Flórez.


Autore: Antonio Vivaldi
Esecutore: Avi Avital e Venice Baroque Music
Titolo: Avi Avital - Vivaldi
Etichetta: Deutsche Grammophon

Tracklist: 1) Concerto, Op. 3 No. 6 ’Con Violino Solo obligato’, RV 356 2) Concerto for Lute and 2 Violins in D major, RV 93 3) Concerto in C major for mandolin/lute, RV425 4) Largo from Flautino Concerto in C major, RV443 5) Trio Sonata for Violin, Lute and Basso Continuo in C major, RV 82 with Mahan Esfahani & Ophira Zakai 6) The Four Seasons: Summer, RV315 7) La biondina in gondoleta (traditional Venetian) with Juan Diego Flórez (tenor)


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