Ballare per un sogno

Darren Grant, il regista di Ballare per un sogno, vi da il suo benvenuto in quello che egli stesso ha definito il “cabar-esque”, un mondo a metà tra il cabaret e il burlesque, tra la vita reale e la sua primaria rappresentazione, il teatro.
Eccoci all’ennesino appuntamento cinematografico con l’universo della danza, un incontro che non sempre ha prodotto film memorabili, ma che allo stesso tempo è entrato nella memoria collettiva con pellicole come La febbre del sabato sera, Flashdance o il non troppo lontano, delizioso, Billy Elliot.
La bellezza e la sensualità del corpo femminile (elementi centrali attorno a cui ruota il mondo del burlesque) si insinuano tra i fotogrammi di questa pellicola trovando una modalità d’espressione ibrida portatrice della difficile ambizione del regista e degli autori del film di fare qualcosa di nuovo e fresco, in una moderna visione del cabaret che piaccia a tutti, giovani e adulti. In realtà la storia su cui il film è costruito non riserva molte sorprese avvicinandosi a sviluppi narrativi già visti ed a caratterizzazioni psicologiche dei personaggi scontate e poco approfondite. Volendo entrare nel merito della vicenda di Lauryn, la protagonista, se ne potrebbe ricavare uno schema proppiano riducibile a pochi sistematici spostamenti psico-fisici: la ragazza di provincia vittima di un grave lutto familiare vede il suo riscatto dalla vita nel sogno di entrare nella prestigiosa scuola di danza, a cui però arriverà solo dopo aver affrontato alcuni ostacoli “per l’oggetto del desiderio” ( tra cui la presenza di un’antagonista e la conoscenza del principe azzurro che le rivelerà la retta via). In tutto questo rimane apprezabile l’abbandono all’ormai più volte proposto mondo dell’hip hop e la scelta di una forma di danza espressa, non in pantaloni extra-large e scarpe da ginnastica, ma in tacchi a spillo e completo di pizzo.
Allo stesso modo, di grande impatto risulta la scenografia che Ray Kluga ha pensato per il palcoscenico del Ruby, il locale in cui avvengono le esibizioni, che esalta le coreografie, coadiuvato da una buona fotografia (di David Claessen) che accoglie lo spettatore nella calda atmosfera del bar/teatro per poi riportarlo nella grigia e fredda realtà dei sobborghi cittadini, della vita al di fuori del sogno.
L’esperienza di Darren Grant nel mondo dei videoclip ha permesso la creazione di alcune sequenze audiovisive coinvolgenti, che comunicano la sensualità del movimento femminile senza cadere in alcun tipo di volgarità; in questo vogliamo vedere quello che è forse il miglior pregio della pellicola, un omaggio a grandi dive, da Bettie Page alla contemporanea Dita Von Teese che assieme ad altre diede vita al new burlesque riportando i riflettori su un genere quasi dimenticato.
(Make it happen); Regia: Darren Grant; sceneggiatura: Duane Adler, Nicole Avril; fotografia: David Claessen; montaggio: Scott Richter; musica: Paul Haslinger; interpreti: Mary Elizabeth Winstead (Lauryn Kirk), Tessa Thompson (Dana), Riley Smith (Russ), Julissa Bermudez (Carmen), Ashley Roberts (Brooke), John Reardon (Joel Kirk), Karen Leblanc (Brenda); produzione: Anthony Mosawi, Brad Luff, Robert Benjamin; distribuzione: Medusa; origine: USA, 2008; durata: 90’
