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Barbarossa

Pubblicato il 8 ottobre 2009 da Antonio Valerio Spera


Barbarossa

Mettiamo da parte ogni possibile riferimento al panorama attuale della politica italiana e consideriamo Barbarossa solo ed esclusivamente per quello che è (o vorrebbe essere): un film storico. Prendiamo sotto esame la messa in scena, la direzione degli attori e le loro interpretazioni, gli effetti speciali, la sceneggiatura e la scenografia. Ecco, non c’è bisogno di aver visto del grande cinema per comprendere che il risultato di tutto ciò non può assolutamente far rientrare questo prodotto in tal categoria. Sin dalle prime inquadrature, dalle prime banalissime battute, si percepisce che si assisterà ad uno spettacolo presuntuoso, piatto, futile, ripetitivo, ma soprattutto privo di idee, di originalità e di una poetica personale. Non c’è nulla di nuovo in Barbarossa, niente che non si possa definire “già visto”. In ogni singola inquadratura non troviamo nessun tentativo di sorprendere o di inventare, ma trapela palesemente il desiderio di emulazione del grande cinema epico hollywoodiano. Martinelli – che pure in passato ha realizzato prodotti di buona fattura come Sarahsarà, Porzus, Vajont, Piazza delle Cinque Lune - non cerca di tracciare le linee di un possibile nuovo approccio italiano al genere storico: il suo lavoro registico si perde in una gabbia visiva che sa solo di presunzione, che “vuole ma non può”, che tende la mano ad un tipo di cinema senza mai raggiungerlo, proponendone esclusivamente una copia vuota e sbiadita.
Prendiamo ad esempio la prima sequenza, quella che apre il film e che ci presenta i due protagonisti. Guardandola si ha la sensazione di averla già vista di recente. Siamo spettatori di una caccia al cinghiale e veniamo catapultati in un montaggio di immagini confuse che tenta di seguire il ritmo della musica incalzante di commento; vediamo la macchina da presa scontrarsi con i rami degli alberi; un ragazzo che corre affannato nel bosco. Poi, per chiudere, una freccia entra nella testa del suino. Dopo aver visto questa scena non si può non pensare all’incipit di Apocalypto di Mel Gibson. Martinelli lo ripropone in chiave europeo-medievale, anzi lo copia senza porsi alcun problema. Omaggio? Inizialmente questa potrebbe essere un’ipotesi, ma continuando a vedere l’opera, questa possibilità non trova conferma, anzi. Per tutta la durata, infatti, Barbarossa tenta di ricalcare l’Epos e lo stile dei kolossal statunitensi (e non). Sembra che Martinelli non abbia pensato al suo film ma soltanto a quelli degli altri. Riaffiorano alla mente, implorando giustizia, film come Giovanna d’Arco di Besson, King Arthur di Fuqua, Le cronache di Narnia. Ma soprattutto il riferimento più importante per Martinelli sembra essere Il Signore degli Anelli di Peter Jackson. Ci si ritrova così costretti su una poltrona a seguire un’improbabile versione italiana dell’epopea di Tolkien, in cui la Terra di Mezzo è il Nord Italia (potremmo anche dire la Padania in questo caso…), Rutger Hauer-Barbarossa rappresenta il lato oscuro, un pugnale prende il posto del gioiello, una veggente fa le veci dell’elfa Cate Blanchett, Alberto da Giussano-Raz Degan è un Aragorn dei poveri e Kasia Smutniak ha delle visioni premonitrici che assomigliano visivamente alle crisi del piccolo Frodo quando indossa l’anello.
Il regista parlando del suo film ha usato più volte l’aggettivo ‘epico’. In Barbarossa, però, di epicità non c’è traccia. Non si può infatti perseguire l’Epos puntando esclusivamente sulla grande Storia e sulle scene di battaglia. Ciò che manca al film per raggiungere l’epicità di cui parla Martinelli sono i personaggi, il ritratto delle loro emozioni, dei loro sentimenti, delle loro motivazioni, e per assurdo manca anche una tecnica cinematografica capace di infondere realismo alla rappresentazione. Non solo il regista calca la mano su momenti veramente improbabili (vedi appunto le visioni della Smutniak) e dirige gli attori portandoli quasi alla macchietta, non solo la sceneggiatura si perde in dinamiche narrative da soap televisiva e la fotografia non dà spessore cromatico alle immagini, ma anche gli effetti speciali, che avrebbero dovuto rappresentare un elemento di forza della pellicola, appaiono rudimentali, antirealistici, finti. Eppure - se le cifre di cui parlano sono vere – sono stati spesi quasi trenta milioni per Barbarossa. Guardando il film ci si chiede dove siano finiti tutti questi soldi.
E pensare che in Italia ci sono tanti giovani promettenti che girano piccoli gioielli con poche migliaia di Euro.

Matteo Galli


CAST & CREDITS

(Barbarossa) Regia: Renzo Martinelli; sceneggiatura: Renzo Martinelli, Anna Samueli, Giorgio Schottler; fotografia: Fabio Cianchetti; montaggio: Osvaldo Bargero; musica: Pivio & Aldo De Scalzi; interpreti: Rutger Hauer (Barbarossa), Raz Degan (Alberto da Giussano), Kasia Smutniak (Eleonora), Cecile Cassel (Beatrice di Borgogna), F. Murray Abraham (Siniscalco Barozzi); produzione: Martinelli Film Company Int., con Rai Fiction, Na-Comm e Rai Cinema; distribuzione: 01 Distribution; origine: Italia; durata: 139’.


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