Beautiful Things
Art for art’s sake, o meglio usando il francese d’origine, l’art pour l’art. L’arte non segue dictact, non ha risvolti politici, non ha bisogno di giustificazioni come affermava il filosofo francese Victor Cousin.
La visione di Beautiful Things ricorda questo assunto. Ma non con accezione positiva. Infatti, seppur partendo da premesse altamente sociologiche, come il peso del consumismo e l’origine dei prodotti di cui quotidianamente ci circondiamo, il regista Giorgio Ferrero si concentra su un esercizio di stile che risulta prettamente estetico e manca di profondità e carisma. Un ibrido, tra il documentario e il lungometraggio, che sfiora solamente quelle cime poetiche a cui ambisce.
Da dove arrivano i nostri oggetti? Cosa nasconde il frenetico produrre? Quali vite vengono intaccate da questo meccanismo? Quattro sezioni Petrolio, Cargo, Metro e Cenere in cui altrettanti uomini si raccontano con un alternarsi di voci in campo e fuori campo, come se si stessero indagando i loro più reconditi pensieri. Van vive in Texas e passa le sue giornate tra macchinari dalle sembianze di mostri giganti che estraggono il petrolio, materia prima diventata imprescindibile per la nostra società. L’ingegnere filippino Danilo è recluso nella mastodontica nave cargo che solca gli oceani per trasportare i risultati della lavorazione di tale petrolio. Andrea, scienziato italiano, testa le proprietà acustiche dei beni di consumo, rinchiuso in una stanza speciale eco esente. E infine Vito, che ha passato l’esistenza tra le slot machines in Svizzera, ritrova uno scopo negli inceneritori che trasformano la spazzatura in energia pulita.
Sulla carta un ottimo progetto, forte di musiche ipnotiche, suoni a tutto tondo, note così incisive da ferire l’orecchio ma che convincono se abbinate alle scultoree immagini. Inquadrature studiate al millimetro, simmetrie ammirevoli affiancate a riprese più precarie, quasi a voler rimarcare il contrasto tra la bellezza della natura e il caos generato dagli oggetti e dalla loro linea di produzione. Non a caso l’arma vincente di Ferrero è il linguaggio della musica, il passato da compositore (come autore della colonna sonora di Sette Opere di Misericordia dei De serio, per esempio) lo guida a descrivere questa sua prima opera dietro alla macchina da presa come una storia sinfonica.
Inserito nella sezione Biennale College, il film è stato sviluppato in soli otto mesi, con la collaborazione del direttore alla fotografia Federico Biasin. Un notevole sforzo che tuttavia fallisce nel dichiarato intento di un’analisi della "bulimia" contemporanea legata al possesso delle cose. L’algido distacco con cui Ferrero si approccia al tema stride con la sua dichiarazione di intenti.
Dunque se il silenzio è come morte e il rumore ci fa dimenticare noi stessi, Beautiful Things non costituisce il ponte su cui soffermarsi per l’introspezione.
(Beautiful Things); Regia: Giorgio Ferrero; sceneggiatura: Giorgio Ferrero; fotografia: Federico Biasin; montaggio: Giorgio Ferrero, Federico Biasin, Enrico Aleotti, Filippo Vallegra; musica: Giorgio Ferrero, Rodolfo Mongitore; interpreti: Van Quattro, Andrea Valfrè, Danilo Tribunal, Andrea Pavoni Belli, Vito Mirizzi, Vittoria De Ferrari Sapetto; produzione: MYBOSSWAS; origine: Italia, 2017; durata: 94’