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Berlinale 2014 - Bilancio e previsioni

Pubblicato il 15 febbraio 2014 da Matteo Galli


Berlinale 2014 - Bilancio e previsioni

Cominciando a scrivere questo pezzo si era tentati di stroncare il Concorso di quest’anno, la scelta del 2013 era stata migliore, ci dicevamo. Tornando tuttavia a far scorrere nella mente i film passati in questi dieci giorni, bisogna pur affermare che, fermo restando che a nostro avviso non c’era un capolavoro, una buona metà dei film, almeno dieci, erano dei buoni film: Boyhood, che resta il candidato numero uno all’Orso d’Oro, i due grandi film spettacolari e di genere (In Order of Disappearance e No Man’s Land, cui andrebbe in fondo aggiunto anche Black Coal, Thin Ice, il thriller cinese), un film tedesco (Kreuzweg, gli altri film del paese ospitante si sono rivelati francamente non all’altezza, in qualunque altro festival fuori dalla Germania avrebbero fatto fatica a trovare posto anche solo in sezioni collaterali), il film sul conflitto nord-irlandese ’71, uno dei due film argentini (La tercera orilla, l’altro Historia del miedo è un mistero che sia approdato in concorso) e buon ultimo anche The Grand Budapest Hotel di Wes Anderson, da cui ci si aspettava di più. Anche il film greco Stratos non doveva essere accolto in concorso, e nemmeno Praia do futuro, anche Blind Massage poteva transitare altrove. I grandi vecchi - il giapponese Yamada e il francese Resnais – hanno fatto quello che ormai sanno fare: gli epigoni di se stessi. La voie de l’ennemi è un appena dignitoso remake, Macondo una corretta opera prima. Resta il mistero di Aloft della ex-vincitrice Claudia Llosa. A chi scrive è sembrato un insopportabile polpettone new age.

Fra gli attori, se partiamo dal presupposto che è difficile che vengano premiate le stelle super-affermate, Stellan Skarsgård o Forest Whitaker per intenderci, il premio all’interprete maschile potrebbe andare a un attore cinese, tipo Xu Zheng, l’avvocato di No man’s Land, il detective innamorato Liao Fan di Black Coal, Thin Ice, in alternativa potrebbe toccare al migliore attore tedesco visto in quest’edizione ossia Florian Stetter, nel duplice ruolo di Schiller e del prete oltranzista di Kreuzweg. A meno che la giuria non decida di premiare uno dei tanti adolescenti protagonisti, e qui avrebbe l’imbarazzo della scelta, vista la mèsse di ragazzini al centro dei film in concorso.

Già più difficile il discorso per le attrici. La migliore resta a nostro avviso la madre di Maria in Kreuzweg, l’austriaca Franziska Weisz, sempre che la giuria non intenda andare sul sicuro e premiare Brenda Blethyn, la poliziotta rieducatrice di La voie de l’ennemi o Patricia Arquette per Boyhood. O, di nuovo, la ragazzina-martire di Kreuzweg che si chiama Lea van Acken.

Se viene dato l’Orso a Boyhood, il premio alla regia dovrebbe andare a ’71 oppure a uno dei filmoni di genere, forse al primo posto a No Man’s Land (esiste ovviamente anche l’opzione Wes Anderson). Fossimo nella Giuria, daremmo al film cinese il premio speciale e a al film inglese quello per la fotografia.

Dobbiamo pur dirlo: ormai a Berlino il concorso è diventato una prova di forza, una esibizione quasi muscolare delle capacità produttive e soprattutto co-produttive tedesche: 9 film su 20 vantano capitale tedesco, cui vanno aggiunti tutti e tre i film fuori concorso (Clooney, von Trier e il remake della Bella e la Bestia).

In concorso ( e anche fuori) quest’anno si sono visti: moltissimi adolescenti in crisi, molti ciechi e molta neve.

Come al solito, nelle pause tra un film in concorso e l’altro, ci siamo imbattuti in alcuni piccoli gioielli transitati in altre sezioni: il già segnalato Free Range dall’Estonia, il delizioso Blind Dates dalla Georgia, nonché – ma non siamo i primi ad accorgercene – l’emozionante Difret dall’Etiopia che ha vinto a Sundance e, qui, il premio del pubblico della sezione “Panorama”.


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