Berlinale 2018 -Bilancio e Previsioni
Forse è una storia di anni dispari e di anni pari, ma riguardando la Berlinale e i bilanci degli ultimi anni, gli anni dispari era quelli buoni e quelli pari un po’ meno. Siamo in un anno pari, il 2018, e il concorso non è davvero stato granché, talché a nostro avviso per i film davvero premiabili basterebbero le dita di una mano. Cominciamo dicendo che alcuni, nella fattispecie almeno quattro, film semplicemente, a nostro avviso, erano molto vicini a essere impresentabili: il film iraniano Pig, il film svedese The Real Estate, il film rumeno Touch me not, il film di Gröning Mein Bruder heißt Robert und ist ein Idiot (che –siamo pronti a scommetterci – un premio di qualche genere lo prenderà). Scartiamo Lav Diaz che un premio due anni fa lo ha già preso e ora potrebbe prendere solo l’Orso d’Oro ma non crediamo. Scartiamo i tre film americani, Damsel senza il minimo dubbio, Isle of Dogs – che pure resta forse in assoluto il film migliore in concorso – perché Wes Anderson è troppo celebre e perché non crediamo sia mai successo che abbia vinto il film d’esordio, quanto al film di Gus Van Sant (Don’t Worry, He Won’t Get Far on Foot) l’unico che potrebbe essere premiato è Joachim Phoenix, anche se come Wes Anderson vale il discorso che forse è già troppo noto per i paradigmi berlinesi. Scartiamo ovviamente anche Eva, certo pure lì ci sarebbe Isabelle Huppert, ma non crediamo che vadano a premiare un’attrice così celebre. Restano dieci film da, eventualmente, prendere in considerazione per l’Orso d’Oro e altri premi.
Partiamo dai tedeschi che da anni ormai a Berlino prendono le briciole, l’ultimo Orso d’Oro risale a quattordici anni fa, La sposa turca, e lo vinse un regista come Fatih Akin, che nella percezione collettiva era tedesco fino a un certo punto. Quest’anno con la Giuria presieduta da Tom Tykwer potrebbe accadere: non lo dovrebbe vincere il film di Petzold, che peraltro quattro anni fa vinse il premio alla regia con La scelta di Barbara e dunque non può avere un downgrade; non lo dovrebbe vincere il film su Romy Schneider (3 Tage in Quiberon), dove però si potrebbe premiare l’attrice Maria Bäumer, il quartetto di attori o al limite la fotografia; sarebbe tremendo se lo vincesse Mein Bruder heißt Robert und ist ein Idiot, non sarebbe invece scandaloso se lo vincesse In den Gängen, il film conclusivo del festival, che resta il migliore della compagine tedesca, troppo minimalista e forse troppo tedesco per vincere l’Orso d’Oro, ma chissà; in ogni caso potrebbe vincerlo l’attore principale, Franz Rogowski, protagonista nei due film tedeschi oppure la sceneggiatura che, seppur con qualche ripetizione, appare una delle più solide.
Vediamo gli altri sette film papabili. In realtà né il film messicano (Museo), pur con qualche merito soprattutto nella prima parte, né il film polacco (Mug); anche qui la regista ha già avuto un premio minore, quello per la sceneggiatura, con Body nel 2015) e nemmeno il film francese sull’ex tossicodipendente La prière dovrebbe arrivare a tanto (Anthony Bajon, il ragazzone, potrebbe prendere il premio come attore, ma forse anche no).
Ne restano quattro di film che dovrebbero contendersi l’Orso d’Oro: Dovlatov è, secondo noi, il più accreditato, ma forse anche Utøja 22. Juli ha tutte le carte in regola per vincere (magari uno dei due prende l’Orso e l’altro quello della Giuria). Poi ne restano due che sono passati nei primi giorni del festival, il bel film paraguayano Las Herederas che sarebbe bello non tornasse a mani vuote (se non arriva il premio principale, forse l’attrice Ana Brun?). E poi, e poi c’è Laura Bispuri, che tre anni fa con Vergine Giurata non vinse nulla di nulla. Figlia mia, a parer nostro, è meno riuscito del primo. Ma chissà? Alba Rohrwacher è sicuramente una delle più accreditate per l’Orso d’Argento come migliore attrice. Quanto alle sceneggiature potrebbe contendere il premio a In den Gängen, a nostro avviso (a parte Wes Anderson) quella del film paraguayano. I film fuori concorso, alla fin fine, erano più che dignitosi: tre film di genere, per carità (7 Days in Entebbe, Unsane e Black 47) ricorderemo con piacere anche il documentario di Markus Imhoof (Eldorado), e faremo fatica a dimenticare le splendide immagini di Ága.
Di mediocrissimo livello i film (visti) della sezione “Berlinale Special”: dal biopic su Oscar Wilde, all’a tratti imbarazzante The Bookshop, al visto e rivisto The Interpreter fino a The Silent Revolution di cui abbiamo parlato in una recensione apposita. Da ricordare un manipolo di ottimi film della sezione “Panorama”.