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Berlinale 2019 - Bilancio e previsioni

Pubblicato il 15 febbraio 2019 da Matteo Galli


Berlinale 2019 - Bilancio e previsioni

Mai come quest’anno appare difficile prevedere a chi andranno i premi principali della Berlinale. La competizione è stata, tutto sommato, onestamente omogenea, secondo quando ci aspettavamo. Nessuna rivelazione di nuovi talenti, nessun vero salto di qualità per i registi che già conoscevamo. Come già l’anno scorso, nessun film uscito da Berlino si contenderà i premi più importanti della stagione prossima: dall’Oscar per il miglior film straniero (quello per il miglior film americano è comunque impossibile, visto che in concorso non ce n’era nemmeno uno - di passaggio l’ultimo film americano che poi, l’anno dopo, vinse qualcosa a Hollywood fu Rain Man nel 1989, c’era ancora il Muro…), agli European Film Awards. Dipenderà dalle dinamiche interne e internazionali all’intero della Giuria. Juliette Binoche, la presidentessa, potrebbe insistere per Grâce à Dieu di François Ozon, anche in considerazione del fatto che il cinquantaduenne regista parigino, di fatto, non ha mai vinto nulla. Ma potrebbe anche battersi per God Exists, Her Name is Petrunya, in nome della solidarietà di genere con la giovane regista macedone Teona Strugar Mitevska. Il film francese e quello macedone sono quelli che meglio corrispondono ai cliché di un probabile vincitore dell’Orso d’Oro, se vogliamo anche in tutta loro prevedibilità un po’ manichea. Sempre in un’ottica sociologica non sarebbe malvista la premiazione de La paranza dei bambini di Claudio Giovannesi, anche se l’Italia, insieme all’Iran (Farhadi e Panahi) e alla Romania (Netzer e Pintilie), ha vinto due volte negli anni ’10, con Cesare deve morire di Paolo e Vittorio Taviani nel 2012 e con Fuocoammare nel 2016. Crediamo improbabile che l’Italia vinca per la terza volta. Il nostro preferito, sempre restando, a temi scottanti sul piano socio-politico è il film di Nadav Lapid intitolato Synonymes. Se vince il film di Coixet (targato Netflix, dopo Roma di Cuarón a Venezia, tutt’altro livello perbacco, un altro film di Netflix e un altro film in bianco e nero) sull’unione civile nella Spagna dei primi del 900, con il polpettone poltically correct nei titoli di coda, allora vabbè. Sebastian Lélio, unico ispanofono in Giuria, speriamo che non si lasci invischiare. E restando ai film, diciamo così “impegnati”, appare impensabile che vinca l’onesto ma para-televisivo Mr Jones di Agnieszka Holland. Dopodiché si passa a tutt’altro evidentemente. E se si passa a tutt’altro, l’Orso d’Oro lo possono vincere tutti: le steppe mongole di Öndög, il romanzo familiare cinese (con qualche non troppo invadente riferimento politico) al centro di So Long, My Son, la bambina scatenata di Systemsprenger, lo horror fassbinderiano del Guanto d’oro di Fatih Akin (ma anche lui ha già vinto a Berlino, seppur quindici anni fa, e questo film, anche per chi lo amato a dismisura, non credo si possa definire il suo migliore). Ci sembra difficile che possa vincere il film di Moland Out Stealing Horses o il film austriaco Der Boden unter den Füssen. Se Sandra Hüller batte i pugni per la “Berliner Schule” potrebbe toccare a Ich war zuhause aber di Angela Schanelec (molto piaciuto alla stampa tedesca, che però non fa testo più di tanto), anche in omaggio a una sua celebre esponente, ossia Maren Ade, la regista di Toni Erdmann, che alla Hüller ha dato il ruolo della vita. Con la Komplizen Film la Ade è tuttavia coinvolta a livello produttivo sia nel film di Nadav Lapid che nel film turco, che a noi è sembrato piuttosto ripetitivo e noioso, ma anche qui, chissà, potrebbe piacere: la storia delle tre sorelle, l’ambientazione in Anatolia, l’arretramento culturale, il tono vagamente fiabesco. Un outsider che non costituirebbe uno scandalo è Dennis Côté con la sua ghost story canadese Répertoire des ville disparues. Impensabile che vinca The Kindness of Strangers, il film di esordio, forse il peggiore di tutti. Fra le attrici, escludendo bambini e ragazzini, dovrebbero vedersela, l’attrice macedone Zorica Nusheva, Maren Eggert di Ich war zuhause, aber, le due attrici spagnole ex aequo Natalia de Molina e Greta Fernández, o Valerie Pachner, la sorella manager di Der Boden unter den Füssen. Fra i maschi ci siamo già espressi a favore di Wang Jingchun, in alternativa, ovviamente, Jonas Dassler, il serial killer di Akin o il protagonista di Synonymes Tom Mercier o, sempre optando per un ex aequo, i tre protagonisti del film di Ozon. Fra le sceneggiature le nostre preferite sono quella di So Long, My Son, quella della Paranza e quella di Répertoire des villes disparues. I meriti tecnici possono andare alle scenografie del film di Akin, alla fotografia del film cinese o del film mongolo.


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