Berlino 2005 - Tra luci ed ombre

E siamo arrivati alla prima metà del festival. e, come al solito, già ci si lamenta per la poca qualità del materiale proiettato. Certo, per selezionare 400 film il filtro deve essere forzatamente molto allargato, e come ripetiamo ormai da tempo, non è questo un buon periodo per chi i film li va a vedere. Pochi film belli, pochissimi, anzi. I giudizi che si percepiscono in sala sono sempre discordanti. Nessuno se la sente di difendere strenuamente qualcosa: tra i voti che giornalmente vengono dati ai film in concorso e che sono pubblicati sul daily, quattro stelle, il massimo, è stato dato solamente al film su Sophie Scholl. Che non è solo un film, ma è la messa in scena di una presa di posizione politica della Germania: non di tutto siamo responsabili. Alcuni di noi si sono opposti al nazismo e lo hanno pagato caro. Lascia stupiti, semmai, che per opporsi al nazismo bisognava essere degli eroi, super uomini o super donne. Le persone normali, cioè, nulla potevano fare. La normalità antifascista raccontata, per esempio, nei libri di Vittorini, se si fa affidamento ai lavori tipo questo sulla Scholl, qui in Germania non avevano Patria. E forse, sul discorso della responsabilità questo film non svolge un buon lavoro. Ovviamente un discorso sul nazismo è molto complicato, le sfumature, giustamente, non sono ammesse. Ma un discorso su come il potere crea il proprio consenso, magari potrebbe essere fatto. Perché la Scholl sia stata uccisa in quel modo, non è dato saperlo, Rothemund ce lo lascia solo immaginare). Moltissime, invece, sono le pellicole, fin qui viste, che raccontano le sfumature delle prese di posizione, che si interrogano sui dilemmi etici, quelli per i quali non esiste una giusta soluzione. Oltre al conflitto tra Palestina e Israele (anche questo affrontato sempre seguendo i soliti schemi), conflitto del quale il cinema si nutre, a volte, anche in maniera sconsiderata (uno dei film del Forum parla delle relazioni israelo-palestinesi mettendo in scena coppie omosessuali “miste”: una israeliana, una palestinese), pensiamo al western Mountain Patrol, che cerca di affrontare i problemi di base della sopravvivenza di un popolo e di alcune persone, senza tanti fronzoli, ma semplicemente mettendo in scena delle azioni. Ed è questa la differenza fondamentale che si nota tra la cinematografia occidentale e quella orientale. La prima si ferma a riflettere, e nel riflettere sta, appunto, ferma, immobile, l’altra basa le proprie riflessioni sulle azioni. E’ il movimento che dona la linea, è da cosa facciamo che capiamo cosa siamo.
[febbraio 2005]
