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Berlino 2008 - Elegy - Concorso

Pubblicato il 11 febbraio 2008 da Antonio Pezzuto


Berlino 2008 - Elegy - Concorso

I film della Coixet, regista catalana scoperta una decina di anni fa da Pedro Almodovar ma ormai trapiantata in pianta stabile ad Hollywood, si riconoscono tutti per il loro tema pesante e per l’insopprimibile angoscia che riescono a trasmettere. Come in Le parole che non ti ho detto, o nell’insopportabile La mia vita senza di me, fino a La vita segreta delle parole, i temi della morte e dell’abbandono, uniti a una cupezza dei colori e della recitazione, la fanno da protagonista.
Morte e abbandono sono, ovviamente, quindi, anche i temi principali di questo Elegy, al Festival di Berlino in concorso, tratto - con qualche variazione - da uno dei tre racconti che Philip Roth ha dedicato alla figura di David Klepesh, professore di letteratura (nonché intellettuale di successo multimediale e capace di spiegare con passione Camus e Barthes) vecchiotto affascinante e pieno di donne giovani meno, interpretato da Ben Kingsley, che si innamora, a sua volta riamato, di Consuela Castillo (Penelope Cruz), anche lei sua alunna (molto brava ma, evidentemente non di uguale successo). La giovane Cruz vorrebbe un rapporto normale e con prospettive, il vecchio Kingsley non se la sente di impegnarsi più di tanto, ha paura di quello che i genitori della ragazza (di origine cubana) potranno dire della differenza di età, e per troppa paura rifiuta di incontrarli, causando nella giovane una crisi che si risolverà solo quando "la vita" dimostrerà alla coppia che avere trenta anni in più o in meno, alla fine può (nell’universo tragico della Coixet) voler dire poco.
Il plot non è molto complicato. E intorno a questo plot si agitano una serie di stereotipi duri a morire per i quali gli uomini sono sempre dei bamboccioni incapaci e le donne hanno maturità e desiderio di protezione. Come corollari: l’uomo ha avuto più di cinquanta donne e la donna solo cinque; l’uomo (che conosce la vita) soffre di gelosia incontrollabile anche mentre va a letto con le sue varie amanti; la responsabilità è un problema di genere e via così, per quasi due ore a sentire le lezioni di vita che Kingsley ed il suo amico Dennis Hopper dispensano su un campo di squash (si sa, gli uomini sono atletici fin quando vogliono, le donne, passati i quaranta, diventano patetiche anche se si tolgono la canottiera e si chiamano Deborah Harry). Due intellettuali, più alcune figure di contorno, intellettuali a loro volta. Ma tutto questo profluvio di menti serve alla Coixet per riflettere sul corpo, invecchiato, o in via di mutazione, che al di là della testa resta il segno più pregnante per definire l’essere umano (o quanto meno la parte femminile dell’essere umano), solo indice di distinzione in una società che in fondo si basa esclusivamente sull’apparire e sulla immagine, come ci ricordano il corpo imbiancato di Ben Kingsely e i seni, i capelli lunghi e neri, e lo sguardo da Maya di Goya di Penelope Cruz.


CAST & CREDITS

(Elegy) Regia: Isabel Coixet; soggetto: tratto dal romanzo di Philip Roth „The Dying Animal“; sceneggiatura: Nicholas Meyer; fotografia: Isabel Coixet; scenografie: Helen Jarvis; interpreti: Penélope Cruz (Consuela Castillo), Ben Kingsley (David Kepesh), Dennis Hopper (George), Patricia Clarkson (Carolyn); produzione: Lakeshore Entertainment; origine: USA 2007; durata: 108’;


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