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Berlino 2009 - Bellamy - Berlinale Special

Pubblicato il 9 febbraio 2009 da Antonio Valerio Spera


Berlino 2009 - Bellamy - Berlinale Special

Ad un sguardo superficiale Bellamy potrebbe sembrare un prodotto di fiction ben girato. Il riferimento a Maigret appare immediato ed anche la narrazione del film, costruita sul climax ascendente delle indagini del commissario, richiama evidentemente la struttura di un classico prodotto televisivo. In realtà, però, il nuovo film di Claude Chabrol effettua esattamente un ribaltamento di questo schema. Non solo perché il regista francese lo rielabora con uno stile pregno di eleganza sopraffina, ma soprattutto perché l’evoluzione della risoluzione del caso a cui si interessa il commissario passa in secondo piano e diventa esclusivamente la base narrativa su cui si muove il racconto dei vari personaggi. Inoltre, nel finale, quando la narrazione si chiude circolarmente, il ribaltamento di questa struttura diventa addirittura abbattimento della stessa, in quanto allontana l’opera dalla linearità narrativa di una fiction.
Bellamy non è un puzzle la cui costruzione è finalizzata alla scoperta di un assassino, bensì un mosaico di storie e di relazioni che ruota attorno alla figura del poliziotto interpretato splendidamente da Gerard Depardieu. Il commissario Bellamy non è in servizio, anzi è in villeggiatura con la moglie, e conduce le indagini su un enigmatico incidente d’auto solo per soddisfazione e piacere personale. Per questo, il film non vive dell’ansia sfrenata di giungere allo svelamento del mistero e di conseguenza anche lo spettatore non sente il bisogno di ottenere una conclusione logica dell’indagine e non si attende nessun colpo di scena. Ciò su cui si focalizza l’occhio intimo e disincantato di Chabrol è lo sviluppo dei caratteri dei suoi personaggi. Le relazioni tra Bellamy e le figure di contorno rappresentano il nucleo del racconto: i dialoghi, che si trasformano in veri e propri confronti empatici tra psicologie diverse, sono curati nel dettaglio, battuta per battuta, e sono caratterizzati da una naturalezza ed un gentilezza disarmante.
La sceneggiatura, scritta a quattro mani dallo stesso Chabrol e Odile Barski, delinea i personaggi senza alzare i toni e senza cadere mai in un universo bigger than life. Le dinamiche familiari del protagonista, così come le difficili situazioni in cui si trovano i personaggi in qualche modo coinvolti nell’omicidio, sono descritte con una linea stilistica che tende a rispecchiare i tratti della privata realtà quotidiana. Questo grado di naturalezza viene raggiunto anche grazie alle notevoli prove degli attori. Se Depardieu ci regala un Bellamy che strizza molto l’occhio a Maigret ma che al contempo si allontana notevolmente dal mondo della narrativa gialla, Marie Bunuel incarna perfettamente la moglie del commissario, esprimendo, con la dovuta leggerezza, le difficoltà che deve affrontare la consorte di un poliziotto capace di divertirsi solo con il suo lavoro. Il fascino della messa in scena di Chabrol, comunque semplice ed essenziale, trova il suo corrispettivo proprio nelle performance di questi due straordinari attori e dei loro colleghi (su tutti Jacques Gambiln).
Sotteso da un umorismo costante e condotto con un’andatura lenta e riflessiva, Bellamy pur non raggiungendo i livelli del miglior Chabrol, va comunque ad impreziosire la filmografia del regista, oltre che per l’affascinante eleganza che trapela da ogni inquadratura, anche per quella sensazione di divertito gioco che lo anima.

Antonio Valerio Spera


CAST & CREDITS

(Bellamy) Regia: Claude Chabrol; sceneggiatura: Claude Chabrol, Odile Barski; fotografia: Eduardo Serra; montaggio: Monique Fardoulis; interpreti: Gerard Depardieu (Commissario Paul Bellamy), Clovis Cornillac (Jacques Lebas), Jacques Gamblin (Emile Leullet), Marie Bunel (Francoise Bellamy); produzione: Alicéléo Cinema; distribuzione: TFI International; origine: Francia; durata: 110‘.


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