Berlino 2011 - Amador - Panorama

Come Razieh la badante di Nader e Simin, una separazione, anche Marcela, la badante del notevole film spagnolo Amador, ospitato nella sezione “Panorama”, ma che non avrebbe affatto sfigurato nel concorso principale (stante anche il fatto che non meno di cinque/sei film del concorso erano francamente impresentabili) è incinta. Il suo assistito trascorre tutto il tempo a letto, ma non ha l’Alzheimer come l’anziano del film iraniano, anzi è bello vispo: dice cose molto sagge e molto poetiche, si accorge solo allo sguardo che Marcela è incinta, scrive struggenti lettere d’amore e puntualmente ogni giovedì riceve le visite di una prostituta un po’ avanti con gli anni, interpretata dalla bravissima Fanny de Castro che sembra uscita dritta dritta dalla fucina di Almodovar (ha avuto una piccola parte in Volver). Come Razieh anche Marcela – interpretata dalla sensazionale Magaly Solier già ammirata nel Canto di Paloma, il film peruviano che ha vinto l’Orso d’Oro del 2009 – ha un disperato bisogno di soldi. Ma mentre il padre di Nader, pur malatissimo, sopravvive, Amador, così si chiama il vecchietto, Amador di nome e di fatto, fa la cosa più inopportuna che ci sia: muore. Comunicare la notizia ai parenti del defunto significherebbe contestualmente perdere quel denaro, così importante. Importante soprattutto per l’acquisto di un mega-frigorifero dove il marito di Marcela stiva un’impressionante quantità di fiori. Nelson – così si chiama il marito – è infatti un piccolo grossista di fiori, li va a prendere alla discarica, li riporta in vita con lo spray e mille altri trucchi e li affida ai venditori di strada e dei ristoranti. Nelson e Marcela sono peruviani, più precisamente della regione dell’Ayacucho, da cui proviene anche l’attrice. E in perfetta linea con il trend della Berlinale di quest’anno anche Marcela se ne vuole andare, non ha più voglia di avere a che fare con questo tipo un po’ rozzo, violento, oltreché chiaramente infedele. Pur fra mille rimorsi e anche grazie ai fiori che contribuiscono a tener l’aria un po’ più fresca, Marcela decide di far finta che non sia successo nulla, portando almeno a termine il mese pattuito, senza dir nulla alla sua datrice di lavoro, la figlia del defunto. Fino al colpo di scena finale, quando la figlia, anziché prenderla a male parole, la prega di continuare la farsa, anche lei ha bisogno di soldi, quelli della pensione del padre... Amador, scritto e girato da Fernando Léon de Aranoa - un regista che di buoni film ne ha già scritti e diretti diversi: da Princesas a I lunedì al sole, fra quelli solo scritti, va ricordato almeno il notevole Fausto 5.0, ideato insieme a La Fura del Baus – è un piccolo gioiello con una rete molto articolata di leitmotive e relazioni simboliche (dai fiori alle nuvole, dai puzzle al mare), con una non banale attenzione a questioni sociali, politiche e interetniche (la splendida sequenza iniziale dell’assalto alla discarica da parte degli straccioni peruviani sembra girata da Ken Loach), con una leggerezza di tocco e non poche punte di ironia, quasi tutte affidate a Puri, la saggia prostituta, ma anche allo stralunato prete, a cui la religiosissima Marcela cerca, invano, di confessarsi. Il film è qua e là penalizzato dalle troppe scene girate nella casa del defunto, ciò che blocca inevitabilmente anche le scelte registiche, ha una piccola caduta drammaturgica nella parte centrale, quando Marcela deve fermare il tempo e tenere a bada le varie intrusioni che potrebbero farle saltare il piano, ma nel complesso è fra le cose più piacevoli viste a Berlino.
Amador (Amador), regia: Fernando Léon de Aranoa; sceneggiatura: Fernando Léon de Aranoa; fotografia: Ramiro Civita; montaggio: Nacho Ruiz Capillas; scenografia: Luis Fernandez Lago; interpreti: Magaly Solier (Marcela), Celso Bugallo (Amador), Pietro Sibille (Nelson), Sonia Almarcha (Yolanda), Fanny de Castro (Puri); produzione: Reposado PC, Mediaproducciones; origine: Spagna; durata: 112’.
