Berlino 2011 - El premio - Concorso

Certe volte basta la sequenza iniziale per capire com’è fatto un film. Nel caso della pellicola di esordio di Paula Markovitch – secondo film in concorso e secondo esordio – una ragazzina (apprenderemo che si chiama Cecilia e che ha sette anni, interpretata dalla straordinaria Paula Galinelli Hertzog) percorre, tenace, un’ampia baia cercando di camminare sulla battigia. Ma lo fa sui pattini, un’impresa quasi disperata. La sequenza iniziale la dice lunga sul carattere del personaggio che non si stanca di domandare alla madre - con la quale abita una sordida baracca sulla spiaggia continuamente sferzata dal vento, dalla pioggia e a un certo punto anche dall’alta marea – che cosa significhi la parola “pessimista”. Capiremo in seguito che questa parola è contenuta in un telegramma ricevuto da madre e figlia, un telegramma che è all’origine della decisione di nascondersi in questo luogo sperabilmente dimenticato dal mondo. Siamo in Argentina, negli anni ’70, apprendiamo che l’autore del telegramma è il padre, che da quel momento è sparito, e che la famiglia è stata decimata dall’esercito di Videla. Ma la sequenza iniziale è paradigmatica anche per definire lo stile della regista, non meno ossessivo di quanto sia il carattere della ragazzina (d’altra parte Paula Markovitch rivela che la vicenda è d’impianto largamente autobiografico): l’attraversamento della baia con lo sfondo del mare d’inverno ci viene raccontato tutto, ma proprio tutto, ed è una bella, ampia baia oceanica. Dopodiché ha inizio un film in cui si alternano tre e soltanto tre spazi e tre costellazioni relazionali che ritornano con impercettibili variazioni: la baracca in cui è accatastato un po’ di tutto e dove madre e figlia si marcano strette, alternando rari momenti di tenerezza ad una tensione sempre sul punto di esplodere; l’affollatissima e ultra-popolare scuola elementare che la bambina -praticamente quasi in incognito - da un certo punto in poi comincia a frequentare, con le alunne stivate a tre a tre nei banchi e la maestra petulante, per nulla autorevole, del tutto incapace di governare la classe; infine la spiaggia e le dune, teatro di giochi per la ragazzina e una compagna trascinata con sé, con la quale Cecilia cerca di trascorrere un po’ del tempo infinito che ha davanti, aspettando che la tremenda attesa si sciolga. Per più di un’ora del film la steady cam tallona i personaggi a distanza zero, senza che succeda molto altro, in certi momenti, soprattutto nelle sequenze sulla spiaggia, si ha anzi la sensazione che la regista abbia lasciato libero corso alle improvvisazioni delle ragazzine che giocano, chiacchierano e ridono. La svolta arriva quando la maestra annuncia il concorso per un breve tema, un pensierino lo si sarebbe chiamato un tempo, sull’argomento: l’esercito. E la bambina si lascia andare a quello che pensa davvero, rischiando, come ben si capisce, non poco. Solo il tempestivo intervento della madre che va a tarda sera a bussare alla porta della maestra (che vive peraltro in una condizione non molto dissimile dalla loro) pregandola di stracciare l’elaborato della figlia e di permetterle di riscriverlo, impedisce che la situazione degeneri. E la nuova versione di Cecilia le vale addirittura il premio, di cui al titolo. La scena del conferimento del premio, alla presenza di un manipolo di militari, è forse la più bella dell’intero film, con la bambina intimidita e stretta in scarpe troppo piccole che minuscola e lontana si avvia verso il palco, al cospetto dei probabili aguzzini del padre. Ma quando più nessuno ormai se lo aspettava, nell’ultima sequenza, il padre ritorna. E sull’immagine, vieppiù sfuocata, in cui padre, madre e figlia si abbracciano, si chiude il film. Co-prodotto da mezzo mondo (non era mai capitato di sentir ridere il pubblico durante i titoli di testa: non meno di sette/otto schermate piene di produttori e sponsor), El premio è targato Messico, è un film non banale, ma avrebbe avuto bisogno di qualche robusto taglio, di qualche corposa ellissi.
(El premio) regia: Paula Markovitch; sceneggiatura: Paula Markovitch; fotografia: Wojciech Staron; montaggio: Lorena Moriconi; interpreti: Paula Galinelli Hertzog (Cecilia), Sharon Ferrera (Silvia), Viviana Suraniti (Maestra Rosita); produzione: Kung Works, Mille et Une, Staron Films, Foprocine-Imcine, Niko Film; origine: Messico-Francia-Polonia-Germania; durata: 115’.
