Berlino 2011 - If not us, who - Concorso

Ripercorrendo la storia tedesca del ’900 dopo Hitler il personaggio “storico” più gettonato al cinema è di sicuro Andreas Baader, la figura certamente più glamour del terrorismo tedesco. Senza andare a scomodare le docu-fiction, senza prendere in considerazione i personaggi fictional che fortemente gli assomigliano vanno ricordati almeno il Baader di Ulrich Tukur (il colonnello Gubitz de Le vite degli altri) in Stammheim di Reinhard Hauff del 1986 , il Baader di Frank Giering (uno dei ragazzi terribili di Funny Games di Haneke, attore recentemente scomparso) nel film appunto intitolato Baader di Christopher Roth del 2002; e poi infine il Baader di Moritz Bleibtreu ne La banda Baader-Meinhof di Uli Edel del 2008. In Wer wenn nicht wir (Chi se non noi) Baader porta le fattezze di Alexander Fehling, giovane attore emergente (classe 1981) che in Italia è stato visto solo in una piccola parte di Inglorious Basterds. Qui Baader entra in scena dopo metà film, e la pellicola, quanto meno, ha un piccolo scatto in positivo, perché si scatena un conflitto di una qualche potenzialità. La prima metà, invece, è francamente da dimenticare, verbosa, ridicola. Vi si racconta del rapporto fra la giovane Gudrun Ensslin, anch’essa una presenza immancabile nei numerosi film sul terrorismo tedesco, fin dai tempi di Germania in autunno e, seppur dalla distanza della fiction, di Anni di piombo, e il suo primo compagno la scrittore Bernward Vesper, figlio di Will Vesper, scrittore pesantemente colluso con il Nazismo. Il ragazzo è pieno di ambizioni intellettuali ma è schiacciato dalla figura del padre, già allora giustamente dimenticato, figuriamoci oggi, e vorrebbe rilanciarlo nel mercato editoriale tedesco a cavallo dei primi anni ’60. Gudrun lo aiuta. Risultati: pressoché nulli, se non una pericolosa fase di contiguità con frange revansciste di estrema destra. Intanto la Storia procede: guerra fredda, Baia dei Porci, Eichmann a Gerusalemme, costruzione del muro, Kennedy a Berlino, guerra in Vietnam, gli snodi “narrativi” classici della storiografia europea e mondiale. Ma in Germania c’è un’impennata nel 1967 – chi ha visto almeno La Banda Baader-Meinhof lo ricorderà. In occasione della visita a Berlino di Reza Pahlevi e Farah Diba, i regnanti della Persia filo-americana e corrotta, ci scappa il morto, lo studente Benno Ohnesorg. E la situazione politica si radicalizza. Ed è a Berlino che Gudrun (nel frattempo è nato anche il figlio Felix) conosce Andreas e prende tutta un’altra strada, quella che condurrà dapprima agli attentati spontaneistici e para-situazionisti ai grandi magazzini di Francoforte e successivamente alla fondazione dalla RAF (quando a Ensslin e Baader si unirà anche la giornalista Ulrike Meinhof). E Bernward resta solo, disperato, senza soldi, si lascia andare sempre più al consumo di droghe, scrive un libro, rimasto incompiuto, intitolato Il viaggio (pubblicato anche in Italia da Feltrinelli), sconclusionato trip non privo di tratti originali e nel 1971 si suicida. Questo conflitto mélo – l’uomo abbandonato lasciato dalla propria donna per un altro - avrebbe avuto delle potenzialità, ma il regista non è riuscito, se non qua e là, verso la fine del film a sfruttarlo. Eppure Andres Veiel è un buon regista, ha fatto tutte cose più che dignitose (avanti a tutte l’ottimo Black Box BRD del 2001), ma il vero problema è che Veiel è un documentarista, peraltro con un interesse spiccato, leggermente ossessivo, nei confronti del terrorismo tedesco (sarà che è di Stoccarda e il carcere di massima sicurezza di Stammheim dove sono morti Baader, Ensslin, Raspe, e un anno prima la Meinhof è proprio in un sobborgo della città sveva). Chi se non noi, a cinquant’anni suonati, è il suo primo film di fiction e si vede, perché il regista non riesce ad emanciparsi dal dato documentale che nel caso dei film sulla RAF e dintorni è da sempre particolarmente invasivo: occorre sempre ricostruire gli antefatti, occorre sempre alludere ad una quantità di fattori storici (il Nazismo), politici (guerra in Vietnam, Berlino ’67), familiari (l’educazione protestante), però a forza di spiegare, spiegare, il plot – se ce n’è uno – finisce per essere letteralmente sopraffatto da questa messe di dati, fattuali, ermeneutici e – da sempre – anche mediatici, talché presto o tardi qualunque film si occupi della RAF non riesce a resistere alla seduzione del re-enacting, qui tanto per fare un esempio: Baader e Ensslin in teneri atteggiamenti sul banco degli imputati a Francoforte, una scena vista e rivista. Nel film di Veiel l’urgenza di alludere ai mille diversi contesti è demandata, da un lato, ad una infinita serie di dialoghi a dir poco improbabili dove entrano in scena personaggi noti e meno noti della sfera pubblica, politica e intellettuale, tedesca, un autentico name dropping rispetto al quale una volta che si siano varcati i confini della Germania, risulta impossibile orientarsi; e dall’altra a inserti documentari, anch’essi noti e stranoti, ai quali si chiede di raccontare, ri-raccontare per l’ennesima volta la macrostoria. Viene da chiedersi a quale pubblico Veiel abbia pensato scrivendo questo film, basato non a caso su un saggio scritto dal politologo Gerd Koenen e per il quale in più di un’occasione ci vorrebbero le note a pie’ di pagina. Quanto meno il brutto film di Edel aveva il merito di raccontare tutta la storia della banda, come fosse un action movie e Christopher Roth, nel film 2005, faceva finire Baader crivellato dai colpi come Pierrot Le Fou, August Dietl, l’interprete di Vesper, forse l’unica figura del film che abbia una qualche plausibilità drammaturgica, è molto bravo e potrebbe essere un serio candidato all’Orso d’Argento.
Wer wenn nicht wir (Chi se non noi). Regia: Andres Veiel; sceneggiatura: Andres Veiel; fotografia: Judith Kaufmann; montaggio: Hansjörg Weissbrich; scenografia: Christian M. Goldbeck; interpreti: August Diehl (Bernward Vesper); Lena Lauzemis (Gudrun Ensslin); Alexander Fehling (Andreas Baader); Thomas Thieme (Will Vesper), Imogen Kogge (Rose Vesper); Michael Wittenborn (Helmut Ensslin); Susanne Lothar (Ilse Ensslin); produzione: zero one film, SWR, DEGETO, WDR, deutschfilm, Senator Film Produktion; origine: Germania; durata: 124’.
