Berlino 2011 - The Devil’s Double - Panorama

La vera storia di Latif Yahia, sosia di Udai Hussein, costretto ad abbandonare la sua esistenza per vivere all’ombra del figlio di Saddam. Una storia che si fa emblema di quella di tutto il popolo iracheno, oppresso per decenni dalla violenza e dalla repressione coatta. Una storia portata sullo schermo dal regista neozelandese Lee Tamahori, che dopo gli inizi convincenti con il “maori” Once Were Warriors, si è poi inserito nell’establishment hollywoodiano, dove ha firmato opere come Mulholland Falls e James Bond - Die Another Day, sempre con discreti o addirittura ottimi risultati. Questo coinvolgimento nella produzione mainstream ha esaltato le sue capacità di costruzione dello spettacolo cinematografico, dell’azione, del ritmo, della suspence. Capacità che ritroviamo pienamente anche in The Devil’s Double, film che tiene alta la tensione dall’inizio alla fine, con una messa in scena veloce ed avvincente. Tamahori prosegue con la sua estetica della violenza esplicita e a volte disturbante - che risulta efficace in questo caso per descrivere la banalità del male - ma non l’accompagna nell’occasione con una profonda ed adeguata analisi politica e sociale, la quale invece avrebbe stratificato il racconto evitandogli di rimanere nella superficie di una furba spettacolarizzazione della Storia. Gli inseguimenti tengono col fiato sospeso, le scene di violenza, spesso brutali e cruente, funzionano, il gioco del doppio intriga e diverte, ma l’opera non va oltre. Il discorso politico si limita agli inserti di immagini di repertorio della prima guerra del Golfo e sfocia in una rappresentazione macchiettistica (e per questo a tratti fastidiosa) di Saddam, del figlio e dei suoi uomini. Una scelta che stona nell’insieme del film. Il dramma iracheno è messo nettamente in secondo piano, lasciando spazio ad un action movie che gradualmente fa dimenticare allo spettatore ambientazione storica e geografica del racconto. Colpa sicuramente della sceneggiatura, interessata più alla questione del doppio piuttosto che alla riflessione psicologica e sociologica, ma colpa anche della regia di Tamahori, che si fa prendere la mano dal “giocattolone” che si trova a gestire e che sembra troppo preso dalla sfida tecnica dello sdoppiamento dell’attore Dominic Cooper, contemporaneamente Udai Hussein e il suo sosia. E per quanto la pellicola sia trascinante e anche divertente (soprattutto con alcune trovate – vedi la partita a tennis tra Saddam e… Saddam), il giudizio finale non può non tener conto di queste scelte registiche e narrative, soprattutto perché la materia in questione è Storia recente e il popolo iracheno vive ancora le ferite del passato in un presente che rende incerto anche il futuro più lontano.
The Devil’s Double fa forza però su un attore in stato di grazia. Dominic Cooper è straordinario nello sdoppiarsi nei due personaggi e nel rendere in una stessa inquadratura la follia del male e la voglia di combatterla. Un’interpretazione che vale tutto il film.
(The Devil’s Double) Regia: Lee Tamahori; sceneggiatura: Michael Thomas; fotografia: Sam McCurdy; montaggio: Luis Carballar; musica: Christian Henson; interpreti: Dominic Cooper (Udai Hussein/Latif Yahia), Ludivine Saigner (Sarrab), Mimoun Oaissa (Ali), Philip Quast (Saddam); produzione: Corsan; origine: Belgio; durata: 108‘.
