Bringing it all back on Earth

Il 14 settembre del 1981 dovrebbe essere stata l’ultima data del tour di The River. Nebraska è del 3 gennaio 1982. E dopo nemmeno tre mesi dalla chiusura del tour di The River Bruce Springsteen se ne esce con un disco nuovo. No. Nebraska viene registrato il 3 gennaio 1982. Nebraska è del 20 settembre 1982 e lo si ascolta ancora oggi quasi completamente così come è stato registrato quel lontano giorno d’inverno.
Nebraska comincia spogliando Thunder Road, e solo per l’opacità e nuvolosa incertezza dei colori che accende e la musica e il corpo quasi lievemente assottigliati sembra uno stravecchio al primo ascolto ma proprio al primo ascolto si fa sentire che è il frutto utilizzato per questo distillato di storia della musica a essere stravecchio e non la musica ad essersi brutalmente invecchiata: le note spiegazzate in questa nobile lavorazione sono stravecchie e solo quelle sbadigliano stentoree di fronte a un nuovo risveglio al gelo dell’inverno di inizio anno. Sembra tutto così stanco, ma tutta la musica risulta cristallina, inspiegabile, di perfetta etnografia delle origini della musica americana.
Nebraska potrebbe essere il seguito di Beach Boys’ Party. Il tragico e drammatico finale di una festa i cui esclusi vanno alla ricerca di nuove storie e nuovi suoni. Nebraska fa partire dieci pezzi: Nebraska, Atlantic City, Mansion On The Hill, Johnny 99, Highway Patrolman, State Trooper, Used Cars, Open All Night, My Father’s House, Reason To Believe.
In sordina, evaporate senza tempo dalle rarefazioni soniche di Duke Ellington, da semplici sovrapposizioni di atmosfere di luci, di solitari abbandoni e di continui pieni e vuoti di paesaggi sulla confluenza di un’ unica, intima e indissolubile sostanza emozionale, le canzoni di Nebraska segnano il confine surreale della nostra coscienza e il 4 giugno 1984 sarà Born In The USA - ma quello è e quello rimane ed è inutile continuare a parlarne: si può solo ricordare che è della turnè di Born In The USA il 21.06.1985, Milano, San Siro, il primo concerto italiano di Bruce Springsteen.
Il 10 novembre 1986 esce Bruce Springsteen & The E Street Band Live 1975-85 e qui si riesce a mala pena a dire qualcosa e solo sulla leggendaria mitologia da concerto di un complessivo miracolo sonoro e di una consacrazione di cui Nebraska è la culla adottiva, acida, molto acida, ma pur sempre una culla o un preparato alchemico più che chimico da cui sgorga la riscrittura musicale interstellare del rock and roll, considerando che tra le tracce audio escluse proprio dal master di Nebraska ci sono Born In The USA (probabilmente avevano già fiutato il nuovo nome da dare al miracolo, la parola nuova da stampare col miracolo nel 1984) e Working On The Highway (è la trasformazione gloriosa di Child Bride).
Con Working On The Higway il discorso può andare fino a If I Had A Hammer di Pete Seeger, 1949 (workin’ songs, o di pace: Springsteen approfondirà meglio il discorso con le Pete Seeger Sessions, e comunque blues nel senso più ampio del termine), e da lì risalire a The Happy Farmer di Robert Schumann che porta al noto Heigh Ho di Walt Disney (l’integrale di Schumann è comunque presente ne Il Mago Di Oz); e può infine anche non essere del tutto inutile volersene andare così lontano (Leonard Cohen, 1977) ma per chiudere questo terzo discorso sulla musica di Bruce Springsteen a giro di danza con alcune altre deliziose ricorsività della musica rock e nel totale del racconto di quel lato oscuro dell’anima e dell’uomo da cui è impossibile evitare The Dark Side Of The Moon, anche se non esiste The Dark Side Of The Moon è probabilmente da lì che partono alcune delle tematiche di Bruce Springsteen inserendosi non solo con Nebraska nel solco musicale di The Other Side Of Bob Dylan confermandosi lo step forward più importante della musica americana proprio da Bob Dylan in avanti e fino a cullarsi un altrove molto più terreno dove distendersi per raccontarsi with a wide open country in my eyes and these romantic dreams in my head. (Bruce Springsteen, 1984).
