Buongiorno, notte: The dark side of the past

C’è un aspetto, un’ottica particolare dalla quale possiamo ricavare una chiave di accesso alle ultime, dibattute opere di Bellocchio e Bertolucci: l’uso del repertorio televisivo e cinematografico. Centrale in entrambe le opere, rivela come il soggetto vero di entrambi i film sia non tanto la rivisitazione di un periodo storico ma il rapporto, personale o collettivo, con il passato, con la memoria. Bertolucci ricostruisce, “copia” la rivolta storica alla Cinémathèque, nel frattempo divenuta Mito, così come i suoi protagonisti “copiano” i Sogni di celluloide che quotidianamente assumono come una droga (una dipendenza che si paga cara, il film non lo nasconde di certo). Riassumendo ancora: Bertolucci riproduce la vita di personaggi che tentano di far coincidere la propria vita con il cinema. E’ l’ossessione della cinefilia al quadrato: mai nessuno era giunto a tanto, ma non si tratta di un’operazione sterile, né di un gioco tarantiniano di scatole cinesi. Bertolucci si mette a nudo, la sua vita è stata tutt’uno con il cinema e la Nouvelle Vague è stata come il primo amore, il marchio originale. La citazione cinematografica in The Dreamers non è una strizzatina d’occhio allo spettatore o un omaggio agli autori di culto, è necessaria al racconto, è parte integrante del soggetto stesso del film. Inserire scene di Band à part di Godard o Mouchette di Bresson nel flusso del film per Bertolucci equivale a mostrare un frammento di realtà documentaria, Jean-Pierre Léaud giovanissimo davanti alla Cinémathèque, per esempio. Nella totale confusione di cinema e vita dei personaggi e dell’autore, un film vale un frammento di repertorio televisivo, ha la stessa dignità di realtà di un fatto veramente accaduto. Infatti la citazione è letterale, noi rivediamo effettivamente frammenti del film di Godard o di Bresson e (non solo) una loro più o meno fedele riproduzione come accade normalmente in un film di Scorsese o di uno qualsiasi degli autori Nouvelle Vague stessi che rifacevano Hitchcock o Renoir.
Per il film di Bellocchio il discorso è completamente diverso, Buongiorno notte è la rappresentazione di un fatto storico ben preciso e il repertorio televisivo che vi appare - perché di apparizioni si tratta - appartiene alla memoria nazionale anche se viene usato in maniera estremamente personale. Naturalmente non stiamo parlando del flusso quasi ininterrotto di voci e immagini che proviene dal televisore sempre acceso nella prigione domestica dei brigatisti. Il discorso di Lama, i telegiornali spartani di quei tempi, le dichiarazioni di Galloni o anche i balletti della Carrà che punteggiano il tessuto narrativo del film appartengono alla realtà diegetica della narrazione, fanno parte della ricostruzione storica e, pur suscitando in qualsiasi spettatore che abbia superato i 30 anni un piccolo cortocircuito finzione-realtà e anche, probabilmente, l’emozione dell’improvviso riecheggiare di suoni e volti familiari ma antichi, è una scelta quasi obbligata del regista, un elemento di realismo. Tutt’altro che naturalistico, invece, l’uso del repertorio in due sequenze specifiche,entrambe fra gli snodi più potenti e visionari del film: l’orrore della brigatista dopo la lettura della lettera di Moro ai familiari, in tutto simile a quelle dei partigiani condannati a morte che va leggendo, e il prefinale con la riproposizione delle rare immagini a colori del funerale del presidente democristiano. In entrambi i casi Bellocchio fuoriesce dalla ricostruzione, dalla fiction e ricorre a materiali preesistenti accostandoli in maniera davvero inconsueta in un film: frammenti di repertorio documentario e celebri canzoni dei Pink Floyd, una delle quali tratta da un album con un titolo emblematico: The Dark Side of the Moon. Con questi pezzi musicali l’impatto emotivo è garantito ma la scelta è ugualmente molto sorprendente. L’emergere improvviso di frammenti di un passato storico reale (la fucilazione dei partigiani nel primo caso, i funerali di Moro nel secondo) acquista, grazie alla musica e all’abilità del montaggio, il sapore delloschiaffo morale, di una vera e propria Rivelazione. Il processo è quello psicanalitico dell’emersione del rimosso che in questo caso non ha la consistenza evanescente e simbolica di un’immagine mentale ma quella ben più prosaica di un filmato di repertorio. Aldilà dell’effetto spettacolare, la metafora sulla storia italiana è piuttosto chiara: le vicende scottanti e irrisolte possono essere accantonate, avvolte negli omissis, nella molteplicità di versioni che si annullano l’un l’altra, archiviate da comode verità di parte, ma proprio per questo non passano mai. Semmai, diventano allucinazioni, film dell’orrore.
[ottobre 2003]
