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CACCIA ’L DRAGO

Pubblicato il 3 marzo 2008 da Luigi Coluccio


CACCIA 'L DRAGO

Roma, Rialtosantambrogio - Tolkien raccontato tra un bicchiere d’acqua e l’altro, un ombrello-ammazzadraghi che rifiuta di chiudersi, un fucile-trombone che punge, un mondo diviso tra la Britannia e Albione...

Caccia ‘L Drago , spettacolo di e con Daniele Timpano e Natale Romolo, andato in scena al Rialto Santambrogio all’interno della rassegna Dramorama – Tre alla terza , è un continuo fare la spola tra “questo” ombrello e “quella” spada ammazzadraghi che è Caudimordax; tra “questo” velo e “quel” fucile-trombone che una notte scacciò, in pugno al suo proprietario Giles, un deambulante gigante venuto dal lontano Nord; tra “questo” –ancora- velo e “quel” coraggioso cane di nome Garm, persino troppo fedele al suo padrone e ai suoi doveri... in definitiva, una scissione tra la Britannia e Albione: tra quello che è stato realmente e quello che fu o avrebbe potuto essere.
Quello che è stato realmente: l’antica, leggendaria, terra conosciuta come Albione venne schiacciata dalla potenza romana, che le cambiò, con un atto più letterario che politico, il nome: da quel momento e per i secoli a venire, Britannia.
Quello che fu o che avrebbe potuto essere: Albione era un gigante figlio di Poseidone che detronizzò i re Samoteiani d’Inghilterra, regnando sull’isola finché non fu ucciso assieme a suo fratello Ligure in uno scontro con Ercole –peraltro aiutato da suo padre Zeus, che fece cadere una pioggia di massi sui due fratelli che stavano avendo la meglio sul semidio greco. Il gigante morto dette all’isola il suo primo, riconosciuto, nome: Albione appunto.
Questo lungo preambolo storico-geografico ci permette di tracciare delle precise coordinate teoriche volte all’analisi dell’opera tolkieniana e della messa in scena del duo Timpano/Romolo. Al centro, in tutte e due i casi, sta la storia. Consciamente, con la “s” minuscola. E Britannia e Albione vengono qui assunti come i termini estremi, ma gemelli, di due opposti modi di procedere: da una parte l’esistente –Britannia- e dall’altra il non-esistente –Albione-, che rientra nella categoria del possibile, del raggiungibile, dell’attuabile.
Il materiale narrativo di partenza dello spettacolo è Farmer Giles of Ham ( Il cacciatore di draghi nella versione italiana), racconto del 1949 ad opera del grande J. R. R. Tolkien; per l’esegesi tolkeniana, l’opera si colloca nel versante opposto rispetto ai lavori più famosi dello scrittore inglese: se da una parte abbiamo una continua scrittura volta ad una creazione “cosmogonica”, attuata attraverso i vari Il Silmarillion o Il Signore degli Anelli , Il cacciatore di draghi si situa nel gruppo dei racconti indipendenti rispetto al grande piano creatore della Terra di Mezzo –racconti ispirati, sempre e comunque, da fiabe e/o leggende dalla provenienza più disparata.
Ebbene, tutto questo sostrato di mondi, leggende, uomini coraggiosi e donne irraggiungibili, viene completamente disatteso da Timpano, in un allestimento che va a toccare il modo stesso del raccontare, del narrare, del rapportarsi ad una storia. La diade Albione-Britannia è lo spazio attraverso il quale si muove lo spettacolo dell’autore romano, gli interstizi che intercorrono tra queste due sfere –entrambe legittime- divengono le colline su cui piantare il proprio vessillo artistico.
Il procedimento adottato da Tolkien e Timpano non differisce, sul piano teoretico, di molto. Tolkien si muove tra Albione e Britannia. Sfumando nomi, topografie, costumi, o, viceversa, tentando di andare all’essenza stessa di quel nome, di quella topografia, di quel costume, lo scrittore britannico trasla il lettore e la storia stessa da una concreta e visibile Britannia ad una mitica, ma possibile, Albione. Il Medioevo europeo è il Regno di Mezzo de Il cacciatore di draghi e il mondo in cui agiscono i più famosi Aragorn, Gandalf e Frodo è l’Inghilterra delle sterminate brughiere, l’Irlanda delle pietre magiche, la Germania delle Ondine e dei violenti Barbari invasori... La Britannia attuale trova la sua ragion d’essere e la sua vera natura nell’ancestrale Albione raccontata da Tolkien. Daniele Timpano, a sua volta, effettua la sua traslazione partendo da oggetti reali, fisici, effettivamente presenti qui ed adesso, per portarci in una mitica Albione in cui un semplice velo è un fucile scaccia-giganti, in cui una giacca bianca e una cravatta gialla divengono parti di un’armatura capace di resistere agli attacchi del drago Chrysophylax Dives...
Le armi teatrali che utilizza sono molteplici: fortissima compenetrazione tra testo, corpo e musica; composizione sonora che diviene improvvisazione e che nasce dall’empatica presenza in scena di Timpano e Natale Romolo, quest’ultimo accompagnatore musicale che interagisce scenicamente con Timpano stesso; traslazioni di tempo, spazio e senso operate da Timpano in base a precise reiterazioni verbali/rumoristiche/musicali o gestuali.
La raffinata messa in scena del duo di Amnesia Vivace tocca corde che si situano su vari livelli. Come la storia, scrivevamo poco sopra. La storia con la “s” minuscola. In Tolkien non abbiamo mai un racconto perfettamente “storicizzato”: ogni volume, ogni libro, ogni piccolo pezzo di intuizione è un singolo punto aggiunto alla progressione –teoricamente infinita-, alla continua nascita, di quel mondo fantastico che è la Terra di Mezzo. Lo Hobbit non è altro che l’antefatto de Il signore degli anelli , e questo non è altro che il realizzarsi –ma non il concludersi- di quelle linee tracciate nell’incompiuto Silmarillion . E che dire dei Racconti ritrovati o dei Racconti perduti ? Ogni singola opera dell’autore britannico non è mai “Storia” con la maiuscola, poiché ogni singola opera è sempre un qui ed un adesso che modifica incessantemente quello che è accaduto prima –se è mai esistito- e quello che accadrà dopo –se mai esisterà-. Le modalità del racconto di Timpano non fanno altro che trasbordare tutto ciò in teatro. I continui intermezzi in cui parla il drago Chrysophylax Dives permettono a Timpano di bere dell’acqua, in un continuo uscire ed entrare dalla rappresentazione ma non dalla narrazione: quando Daniele Timpano ha il bicchiere in mano e annuncia <<Primo bicchiere d’acqua>> è solamente Daniele Timpano che sta bevendo un po’ d’acqua, e il tutto equivale ad un normale pausa tra, diciamo, primo e secondo atto; ma allo stesso tempo la narrazione prosegue con l’entrata in scena –almeno solo verbalmente- del drago. Questo continuo entrare ed uscire –tra Britannia e Albione potremmo aggiungere- viene portato al suo estremo nella parte finale dello spettacolo. Timpano/Giles smette i panni fantastici del racconto di Tolkien e diviene solamente Timpano attore. Così, con continue pause, ripartenze, digressioni, ci narra il finale della vicenda. La variazione operata è spiazzante: come stufo del già detto, come desideroso di offrirci un’altra visuale della vicenda, Timpano ri-diviene solamente sé stesso e ci racconta, in un atteggiamento che di teatrale a poco, il resto della storia. Anche qui con la minuscola. Perché questa precisa scelta estetica/narrativa/performativa non fa altro che inficiare gli eventi precedenti, ribaltando ogni prospettiva di senso della vicenda a cui prima abbiamo assistito, ri-collocandola in un contesto chiarificatore che vanifica la Storia con la maiuscola. Il procedimento sarà adottato anche nei seguenti Dux in scatola e Ecce Robot! , a riprova dell’importanza e del cosciente uso che Timpano dà e fa di questo espediente.

Un solo rimpianto: che la storia del fattore Giles, cavaliere, soggiogatore di draghi, Eroe della Campagna, Conte, Principe e infine Re, sia, purtroppo, solo una storia con la "s" minuscola...


Fabula in musica di e con Daniele Timpano e Natale Romolo, da: John Ronal Reuel Tolkien, Aiuto Regia e Arredi e Costumi: Valentina Canizzaro Musica Originale: Natale Romolo Web Info: Rialto Santambrogio, Daniele Timpano, Amnesia Vivace, J. R. R. Tolkien


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