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Cadillac Records

Pubblicato il 2 giugno 2009 da Lorenzo Vincenti


Cadillac Records

Se non fosse per una trascinante colonna sonora che passa in rassegna molti dei più bei pezzi blues della storia della musica, non ci sarebbe motivo di inserire Cadillac Records nella classifica dei film musicali da tenere in considerazione. L’opera di Darnell Martin, prima regista afroamericana di Hollywood, ha il solo merito di andare a scovare una storia molto interessante, mai raccontata sino ad ora, e proporla al grande pubblico, anche quello lontano dai ritmi conturbanti della musica blues. Il film prende in esame le vicende della Chess Records, la storica casa di produzione fondata nel 1947 da Leonard Chess, e le racconta attraverso tante piccole parabole umane e professionali che, nei prima anni di attività, convergono nell’etichetta discografica di Chicago. Il film segue proprio l’ascesa di quegli artisti che, con il loro timbro vocale e la loro storia personale, hanno contribuito a scrivere la storia della musica “nera” americana. Personalità del calibro di Muddy Waters, Willie Dixon, Chuck Berry, Little Walter, Howlin’ Wolf, Etta James, nucleo fondante di un mito e fonte d’ispirazione primaria per grandi artisti più recenti come Eric Clapton, The Doors, Rolling Stones, Led Zeppelin, Bob Dylan. Darnell Martin, debitrice della lezione di Spike Lee, con cui ha collaborato nei primi anni di carriera, propone un cinema in cui emerge con forza quella “negritudine” tanto difesa dallo stesso regista di Atlanta. Questo suo biopic pone infatti l’accento sulla forza delle radici di un popolo che premendo sulle proprie capacità artistiche e musicali ha saputo nel corso degli anni affrancarsi dalla ghettizzazione di cui era vittima.
Il tema della razza fa da sfondo all’opera ed emerge in alcuni casi per permettere una evasione riflessiva dal fil rouge narrativo. Esso con i suoi sporadici interventi contribuisce oltretutto ad incastonare la storia principale in un contesto storico particolarmente delicato per la nazione americana, afflitta e fiaccata da uno stravolgimento sociale in continuo divenire. Questo elemento di continuità non evita però una distanza evidente dal cinema di Lee, molto più profondo ed aggressivo rispetto ad un’opera che vuole mirare solo all’intrattenimento e alla ricostruzione storiografica (molto più vicina per questo ai toni del recente Walk Hard). Decade conseguentemente il paragone che ad esempio avremmo potuto fare con Mo’ better blues, film molto più drammatico ed elaborato, o con tutte quelle opere (Bird, The Doors, la serie dei documentari sul blues prodotta da Scorsese, solo per citarne alcune) che oltre all’aspetto prettamente musicale costruiscono alla base della rappresentazione una affascinante indagine psicologica dei propri soggetti (includiamo in questo anche riferimenti molto più attuali come Last days, Velvet goldmine, Io non sono qui). L’obiettivo della Martin è quindi solo quello di correre velocemente (troppo velocemente) sopra 40 anni di storia musicale moderna, aprendo parentesi sporadiche sull’intimità dei protagonisti e lasciando che un montaggio ellittico accentuato possa scandire il tempo durante le porzioni, abbastanza consistenti, dedicate alle performance canore degli artisti. L’unica nota formale degna di rilevanza sembra essere questa, per il resto infatti l’opera si chiude in una classicità spaventosa che nonostante la bellezza dei costumi, delle scenografie e il valore dei brevi spezzoni di repertorio, trascina il film nei bassifondi della mediocrità e della superficialità. La corsa della Martin diviene, dopo pochi istanti, affannosa, finendo per alzare un polverone gigantesco su un argomento, in definitiva, troppo grande per le sue inesperte mani. La sceneggiatura difetta di complessità in molte parti e, cosa ancor più grave, non riesce a supportare ed alimentare tutte le linee narrative azzardate nella fase iniziale del film. Per fortuna le performance musicali originali (inserite nella versione realizzata dagli autori) contribuiscono insieme alla strabiliante voce di Beyoncè Knowles, autrice per l’occasione di alcune canzoni, ad accentuare lo spirito commemorativo del film (un omaggio che in alcuni momenti commuove) e ad alleviare una visione che, seppur leggera ed accessibile, non riesce quasi mai a coinvolgere lo spettatore.
Ecco perché il prossimo passo di una regista visivamente molto preparata come la Martin, dovrebbe mirare a ridurre quella distanza che divide il pubblico dalla superficie dello schermo, cercando di ottenere in questo modo la sua totale partecipazione alle dinamiche filmiche. Cadillac Records potrebbe rappresentare, in tal senso, il suo punto di partenza.


CAST & CREDITS

(Cadillac Records) Regia: Darnell Martin; soggetto e sceneggiatura: Darnell Martin; fotografia: Anastas Michos; montaggio: Peter C. Frank; musiche originali: Terence Blanchard; scenografia: Linda Burton; costumi: Johnetta Boone; interpreti: Adrien Brody (Leonard Chess), Jeffrey Wright (Muddy Waters), Beyoncé Knowles (Etta James), Columbus Short (Little Walter, Cedric The Entertainer (Willie Dixon), Mos Def (Chuck Berry), Eamonn Walker (Howlin’ Wolf); produzione: Sony Music Film, Parkwood Pictures; distribuzione: Sony Pictures; origine: USA; durata: 115’; web info: http://sonypictures.it/film/Cadilla....


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