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Cannes 2003: Luci ed ombre

Pubblicato il 24 maggio 2003 da Giovanni Spagnoletti


Cannes 2003: Luci ed ombre

Non c’è che dire, i Festival riescono a stupire sempre e questa Cannes lo ha fatto più del solito. Sulla carta, già alla presentazione del programma a fine aprile, si era capito subito che qualcosa, forse per la prima volta da tantissimi anni, non aveva funzionato a dovere nella perfetta ed oliata macchina da guerra della grande manifestazione francese.
La congiuntura internazionale e il conflitto in Irak, il non ottimo stato dei rapporti Francia-Usa e soprattutto le note difficoltà (o meglio per alcuni meno ottimisti: il già avviato declino) della potenza industriale transalpina nello scacchiere mondiale dell’audiovisivo, sono state subito indicati tra le principali cause che hanno strutturalmente indebolito la 56° edizione del Festival sulla Croisette. E poi forse qualche piccolo colpo di sfortuna con quella celebre serie di film “non pronti” (dizione che vuol dire tutto e niente), da Tarantino ad Altman, che hanno privato Cannes di un possibile colpo di coda con cui forse si sarebbe mascherata meglio una situazione di crisi quasi annunziata - vedremo se Venezia saprà approfittare di questa congiuntura.
E ancora: la proverbiale protervia d’oltralpe nella difesa del proprio prodotto nazionale con degli eccessi in tutte le sezioni che hanno nociuto agli stessi padroni di casa: eliminare un paio - per esempio gli inappropriati Blier e Miller - dei cinque, ripeto cinque, film francesi in Concorso, avrebbe fatto soltanto del bene all’immagine del Festival e della stessa cinematografia transalpina.

Tuttavia malgrado tutto e malgrado polemiche insistite (tipo quella cavernicola di “Variety”, amplificata dalla stampa italiana), la Giuria guidata da Patrice Chereau non ha lavorato proprio sul nulla o su una montagna di detriti. Così per quanto partigiane siano state le decisioni finali concentrate sostanzialmente su un pugno di film, il Palmares emesso ha senza dubbio il grande dono della chiarezza e di una sua intima e profonda coerenza.
Chereau ha costruito un gioco “al raddoppio” che comunque ha individuato nella sostanza alcuni dei migliori lavori presentati nella Competizione: dal magnifico Elephant di Gus van Sant (Palma d’Oro e migliore regia) alla bella sorpresa del turco Nuri Bilge Ceylan con Uzak (Gran Premio della Giuria e la palma per l’interpretazione maschile ex-aequo ai due protagonisti Muzaffer Ozdemir e Mehmet Emin Toprak) al piacevole e pepato Les invasions barbares del canadese Denys Arcand (migliore sceneggiatura e migliore interpretazione femminile di Marie-Josee Croze). A questa rosa va aggiunto il Premio speciale della Giuria per il modesto ma sentito Alle cinque del pomeriggio di Samira Makhmalbaf mentre i veri sconfitti di Cannes, pur partiti favoritissimi e non certo deludenti nei risultati, sono risultati essere il Lars von Trier di Dogville e il Clint Eastwood di Mystic River, un’altre delle massime punte di Cannes.
E’ un peccato per il grande filmmaker americano, sia per la qualità intrinseca del suo prodotto sia per la giusta fama che gode presso i cinefili francesi, e il 2003 sembrava appunto l’anno adatto per premiarlo - se ne riparlerà dunque ad una prossima occasione. Con questa lista, però, non si sono esaurite del tutto le potenzialità di un Concorso forse non all’altezza di più fortunate annate ma che, comunque, ha presentato una buona metà di film degni della Croisette. A nostro avviso, infatti, non si dovrebbero disconoscere le qualità di opere come per esempio Shara di Kawase Naomi, Padre e figlio di Alexander Sokurov o, trai i francesi, il tanto contestato Tiresia di Bertrand Bonello.

Ma passiamo ad altro: il prestigioso riconoscimento della Camera d’Oro per un’opera prima presente in tutte le sezioni del Festival, andata al danese Reconstrution di Christopher Boe, sembra aver premiato simbolicamente anche il complesso della selezione della “Semaine de la Critique” che alla sua 42° edizione ha espresso alcuni zampate felici. Viceversa, a parte una manciata di eccezione, abbastanza sottotono è apparsa invece la selezione di “Un Certain Regard” dove per lo meno Marco Tullio Giordana con l’epos de La meglio gioventù si è preso una bella rivincita (oltre ad un premio) sulla miopia della sua produttrice Rai, che sinora si era rifiutata di mandare in onda questo interessante lavoro di sei ore. Adesso naturalmente i vertici aziendali cantano vittoria e si pavoneggiano del risultato come se fosse stato merito loro... No comment!

Infine, per concludere questa rapida valutazione d’insieme, passiamo alla “Quinzaine des Réalisateurs” che sotto la nuova amministrazione di François Da Silva, ha lanciato segnali contraddittori, alcuni positivi, altri meno. Di certo è aumentato il provincialismo di questa prestigiosa manifestazione giunta alla 35° edizione, dove sembra sia sparito qualunque senso di internazionalità: a differenza del passato, presentazioni solo in francese in sala e uno sciovinismo sempre più accentuato nel favorire gli autoctoni. In compenso, però, la selezione, ancora più ampia del solito, ha mantenuto uno standard alto rispetto alla media di questa Cannes 2003 (a rappresentare l’Italia L’isola di Costanza Quadriglio), mentre il cinema francese più nuovo e di tendenza si è ritrovato abbastanza compatto sotto le gloriose bandiere di questo ControFestival nato dallo spirito ribelle e anticonformista del lontano ’68. Ciò comunque non ha impedito anche delle scivolate clamorose: una per tutte Les Lionceaux della giovanissima Claire Doyon per il quale probabilmente il povero Jean Cocteau si sta ancora rivoltando nella fossa. Ma, per fortuna, non è mancata invece tutta un’altra serie di opere riuscite come potrà giudicare di persona il pubblico di Roma e di Milano dove presto la “Quinzaine” (insieme alla “Semaine de la Critique”) verrà integralmente ripresentata.


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