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I morti non muoiono

Pubblicato il 13 giugno 2019 da Anton Giulio Onofri
VOTO:


I morti non muoiono

Zeppo di allitterazioni dentali ad effetto, il titolo originale inglese del nuovo film di Jim Jarmusch lascia indovinare quella programmaticità estetica e strutturale tipica di un cinema che, salvo rare e riuscite intuizioni liriche (Dead Man, Ghost Dog), risulta a volte troppo costretto in griglie che nel nome di un pretestuso understatement congelano le azioni, i dialoghi e le reattività dei personaggi, come certe strisce a fumetti statunitensi degli anni ’90 del secolo scorso. Il suo pubblico di fedelissimi Jarmusch ce l’ha, e quasi tutti i suoi film hanno ottenuto premi e riconoscimenti autorevoli, dunque è giusto che continui a perseguire la propria idea di un ‘cinema per gli amici’, realizzato insieme a sodali con cui intrattiene relazioni amichevoli anche lontano dal set, e dedicato a quella fetta di spettatori che da due, anzi forse già tre generazioni devotamente e affettuosamente lo seguono e lo sostengono. The dead don’t die, tuttavia, mostra evidenti segnali di stanchezza creativa ed espressiva, e il giochino della strizzatina d’occhio a chi si suppone sia già predisposto a un’adesione compatta (quella consensualità un po’ acritica e data per garantita non dissimile da quella che circola negli ambienti del Rock) stavolta tira troppo la corda.

È una storia di zombie uguale a tante altre, e non aggiunge niente al classico repertorio delle torme di morti viventi che da Romero in poi hanno popolato decine di film horror di varia qualità e spessore. I due poliziotti protagonisti, uno scanzonato (dov’è la novità?) Bill Murray e un sottoutilizzato Adam Driver, costretto dall’inizio alla fine in un’espressione corrucciata e catatonica di cui lui per primo non sembra affatto convinto, affrontano una progressiva e incontenibile invasione di creature risuscitate dalle tombe del cimitero cittadino di Centerville, Ohio: un intreccio vero e proprio non c’è, né sorprendono come (forse) vorrebbero alcune trovatine di sceneggiatura per tingere di surreale una storiella esile e fin troppo lineare. La ‘metafora’ (virgolettato di default, vista la banalità che il termine ormai puntualmente comporta) di un’America contemporanea trumpianamente votata all’autodistruzione civile e culturale è evidente fin dalle sequenze iniziali, e raggiunge inaspettate punte di ovvietà là dove è talmente prosaica da risultare fastidiosamente tautologica, come quando gli zombi si aggirano per la strada brandendo tablet e cellulari con il display illuminato e vuoto in cerca di un segnale wifi. Il ‘cast da paura’ (come dovrebbe recitare il claim dell’edizione italiana) comprende, sì, altri nomi e volti illustri, come Chloë Sevigny, Steve Buscemi, Tom Waits - abbigliato di stracci nel ruolo di un anziano e saggio barbone, testimone e custode (forse) dell’idea di un’America implosa e malridotta obbligata ad osservare impotente l’apocalisse della contemporaneità – Tilda Swinton, arcana guerriera armata di una micidiale katana, un trasfigurato (dal trucco mortaccino) Iggy Pop, una florida e fresca Selena Gomez, un Danny Glover che fa sempre piacere ritrovare sullo schermo, ma il tono generale mantenuto da Jarmusch a un volume tanto sobrio da aver voglia di enfatizzarlo pigiando eventualmente il tasto del loudness, ci smorza sul nascere qualsiasi moto di simpatia e voglia di entrare in una storia la cui conclusione viene addirittura anticipata in uno scambio di battute tra i due poliziotti che a parere di chi scrive sono da inseririsi nell’album degli errori madornali di sceneggiatura da evitare come la peste a meno che non si voglia indulgere in quel ‘metacinema’ di cui francamente, a ventunesimo secolo già piuttosto inoltrato, si dovrebbe fare serenamente a meno. Peccato, inoltre, che al buon livello degli effetti speciali (le decapitazioni e gli sventramenti della spada della Swinton sono, a onor del vero, doviziosamente curati e realistici) corrisponda una sequenza finale montata con dissolvenze e sovrapposizioni di casualità imbarazzante, che abbinata al sermoncino conclusivo pronunciato dalla voce fuori campo di Tom Waits, contribuisce a spingere stancamente il film verso i titoli di coda, con lo stesso passo strascicato e sbilenco di un morto vivente.


CAST & CREDITS

(The dead don’t die); Regia: Jim Jarmusch; sceneggiatura: Jim Jarmusch; fotografia: Frederick Elmes ; montaggio: Alfonso Goncalves; musica: Sqürl; interpreti: Bill Murray, Adam Driver, Tilda Swinton, Clohë Sevigny, Danny Glover, Selena Gomez, Iggy Pop, Tom Waits; produzione: Animal Kingdom; distribuzione: Universal; origine: USA, 2019; durata: 103’


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