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Cannes 60 ai blocchi di partenza

Pubblicato il 16 maggio 2007 da Alessandro Izzi


Cannes 60 ai blocchi di partenza

È ai blocchi di partenza questa sessantesima edizione del Festival di Cannes: ad aprire ufficialmente le danze ci penserà tra pochissime ore Wong Kar Way con la sua ultima fatica. Ed è un’edizione decisamente combattiva quella che ci troviamo davanti sulla carta, quando, ancora a bocce ferme, proviamo ad avanzare cauti pronostici su una realtà di cui, nei giorni scorsi, si è già detto tutto e il contrario di tutto.
Una cosa pare ormai definitivamente assodata: Cannes è un’anziana Signora di quelle che fa sempre piacere incontrare per strada e con cui anche i più giovani e combattivi tra i cinefili della nuova generazione amano intrattenersi in lieti conversari in studiata equidistanza tra vecchio e nuovo. Ha classe elegante nella camminata che l’età non ha ancora reso zoppicante e mantiene, tra le rughe che fanno saggezza prima ancora che vecchiaia, quello sguardo vispo e vigile che sapeva un tempo riconoscere i fermenti delle vitali nouvelle vagues sorte intorno agli anni della contestazione.
E ora che si appresta ad affrontare il compleanno dell’ormai raggiunta matura età, non si tira indietro di fronte a quelle leggere sfumature di trucco che possono ingentilire i segni dell’età rendendoli espressivi e degni d’un ritratto in bianco e nero di un Henry-Cartier Bresson.
Sessanta è un numero importante. Non c’è che dire. E per celebrarlo nel modo giusto occorrono festoni, qualche brillante pailette (ma non troppe), e una torta, sobria nelle decorazioni, quanto gustosa al palato. A dirla proprio tutta: abbastanza glamour per il proverbiale tappeto rosso intorno al quale i fotografi già scaldano i flash e giusta qualità nei titoli dei film sia per la sezione in concorso che per quelle collaterali. Ed è da dire che dopo un paio di edizioni decisamente sottotono Cannes scende in campo come una pesante portaerei con quanto di meglio ci si possa aspettare dal cinema del prossimo anno. In Concorso c’è spazio un po’ per tutto: dall’America combattiva del miglior cinema tra indipendente e mainstream (in concorso ci sono Van Sant e Fincher, i fratelli Coen e Tarantino) all’Europa dell’Est (Kusturica, Bela Tarr, Sokurov), dall’Estremo oriente (Kim Ki Duk, il già citato Wong Kar Way) all’ospitante Francia (in misè minore, quest’anno, con la sola Breillart, ma con un sacco di coproduzione sparse qua e là).
A sfogliare i titoli (con alcune promesse succulente come l’ultimo Arcand a fare da chiusura, il nuovo Michael Moore fuori concorso, Hou Hsiao Sien ad aprire Un certain regard: titoli grossi che non hanno trovato spazio in una troppo densa e troppo piena sezione competitiva) si ha l’impressione davvero di trovarsi di fronte al meglio del meglio.
Qualcuno qui da noi, già lamenta la mancanza dell’Italia (presente solo in Un certain regard con un titolo per noi minore: Mio fratello è figlio unico di Luchetti): lacrime di coccodrillo per una produzione, come la nostra, che prima non investe e non promuove e poi si sente incompresa con quell’estero con cui non cerca né dialogo, né scambio.
Al di là delle consuete note di paese (irrinunciabili, pare, per noi italiani) è da dire che sembra certo che la giuria del Concorso, capitanata dal nume tutelare di Stephen Frears, avrà un bel da fare per trovare il giusto equilibrio nella retribuzione degli ambiti riconoscimenti.
E sta, forse, proprio qui il grande limite di questa edizione troppo perfetta, forse, per essere vera. Tutto sembra già detto: non c’è spazio per reali sorprese. Del cinema mondiale quest’anno Cannes sembra aver voluto scegliere solo il meglio del meglio in tutti i campi e in tutte le direzioni.
Tutti registi blasonati, già premiati proprio in terra francese, riconosciuti (alcuni anche da troppo tempo) come maestri dal magistero poco discutibile.
La sessantesima edizione di Cannes viene, di fatto, celebrata da un parterre di autori tutti della generazione di mezzo, tutti abbastanza in là con gli anni, tutti intenti a confermare invece che a scoprire.
Poche le opere prime (una sola in concorso, le altre a rimpolpare, ma non troppo Un certain regard), pochi gli autori giovani.
Cannes sessanta è un’edizione di conferma. È un’edizione dalla strabiliante stabilità che sembra volerci dire più il ‘come era’ del cinema che il ‘come è’. Non è un caso che il film collettivo commissionato per festeggiare l’anniversario abbia come tema di fondo la sala cinematografica quasi non si debba prendere in esame l’esistenza del dvd, di Internet e dei nuovi mezzi di diffusione (e il fatto che la realtà della sala un regista come Wenders se l’è dovuta andare a cercare addirittura in Congo, dovrebbe, se non altro, far riflettere).
Insomma ad aprirsi, tra poche ore, saranno danze che sulla carta hanno un sapore vagamente gattopardesco. Difficilmente ci scopriremo un nuovo Truffaut.


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