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Capitan America - Il primo vendicatore

Pubblicato il 26 agosto 2011 da Alessandro Izzi
VOTO:


Capitan America - Il primo vendicatore

In fin dei conti gli americani si vedono proprio così! La massa di muscoli alla Rambo, l’aria spaccona di chi è sempre pronto alla zuffa, la fascinazione per le calzamaglie dei supereroi dai colori pacchiani (o patriottici) sono solo lo smalto sulle unghie. Apparenza spalmata in superficie su ben altri abissi di profondità.
Perché l’americano, prima di essere il palestrato che salva il mondo da se stesso, è un nerd con uno strano senso di giustizia. È un ragazzino gracile dallo sguardo pulito, pronto a sacrificarsi per il bene degli altri. È un fanciullino men che spielberghiano (il regista di Cincinnati regala ai suoi adolescenti stratificazioni in profondità spesso assai più dolenti) che compensa la pochezza dei suoi mezzi (fisici, economici, magari anche intellettuali) con la tanta voglia di sognare.
Così Capitan America lo incontriamo nel film (prima del superpotere a far la differenza) che è un ragazzino imberbe sospirante eroismo tra un attacco d’asma e l’altro. Un piccolino che “volle fortissimamente volle” e che è tutto lì, nella sua aspirazione che non scende a patti con i doni che Madre Natura, giammai così matrigna, gli ha negato. La sua è sete di giustizia. Non gli va giù che al cinema uno spaccone critichi gli eroi di guerra le cui immagini scorrono in un vecchio cinegiornale. Non tollera che al fronte partano tutti mentre lui deve stare a casa, col giovane Timmy, ad aiutare la guerra con l’eroismo quotidiano di chi aspetta il ritorno del soldato limitandosi a tenere la casa pulita.
Le tirate sull’eroismo che avrebbero fatto viola Bertolt Brecht, lui le beve come limonata, ma non perché voglia essere un eroe, ma solo perché insegue il giusto. Ed è proprio questo, in fondo, che ci rende eroi anche nostro malgrado.
Per lui andare in Europa a combattere contro Hitler non è poi tanto diverso dall’attacar bottone col bullo di turno: entrambi se la prendono coi più deboli ed ad entrambi va data una lezione.
La Storia con la maiuscola si riduce così alle dimensioni dei corridoi dei college e tutto il mondo si spiega nelle dinamiche delle cotte adolescenziali.
Poi, nel film, arriva il superpotere (e con Stan Lee anche le super responsabilità) e con esso i compromessi. Capitan America, prima di cominciare a combattere coi cattivacci, fa da mascotte per la Patria, si riduce ad uomo immagine per una Nazione che le guerre le combatte appunto prima in immagine e poi col sangue dei suoi soldati.
Si apre così una breve parentesi di balletti e canzoncine, assai simili a quelle che veramente circolavano durante la seconda guerra mondiale, che vorrebbe essere, almeno sulla carta, una notazione polemica anche un po’ suicida. Ci sarebbe riuscito, ad esser tale, se il regista di questo polpettoncino stantio non fosse stato Joe Johnston, lo stesso regista che aveva riportato i Tirannosauri alla condizione di fossili nel terzo Jurassik Park.
Nelle sue mani Capitan America diventa l’infrangersi di una promessa di film. L’aspirazione a raccontare l’origine del mito, mal amalgamata con la passione Marvel dei super eroi con super problemi, si scontra con l’insulsaggine di un regista che mette in immagine senza riuscir mai a scavare sotto di essa.
Ne vien fuori un film noioso e rotto. Un film che quanto più corre, tanto più appare lento. Un film che stanca pure per il peso degli occhialini che servono un 3D da baraccone e che sono il correttivo di una miopia registica che ha azzeccato una cosa sola: la scelta dell’attore principale che pare vero, nella sua bidimensionalità, al di là della macchina che lo inquadra. E che spesso finisce schiacciato dal peso pachidermico di un discorso che deve andar veloce pure sulla fine di un amore.
“Ho fatto tardi ad un appuntamento” recita alla fine del film l’eroe senza macchia e con qualche paura. Ma la verità è che il film finisce troppo prima che il gracile eroe che lo anima abbia avuto il tempo, di rendersi conto, che, al di là di tutto, come qualsiasi teen ager americano, lui è irrimediabilmente, dolorosamente, solo coi suoi sogni.


CAST & CREDITS

(Captain America - First Avenger); Regia: Joe Johnston; sceneggiatura: Christopher Markus, Stephen McFeely; fotografia: Shelly Johnson; montaggio: Robert Dalva, Jeffrey Ford; musica: Alan Silvestri; interpreti: Chris Evans, Hugo Weaving, Tommy Lee Jones, Stanley Tucci, Hayley Atwell, Natalie Dormer, Sebastian Stan, Richard Armitage, Dominic Cooper, Toby Jones, Neal McDonough, JJ Feild, Derek Luke, Kenneth Choi, Anatole Taubman, Christian Black, Marek Oravec, Eric Edelstein, Duncan JC Mais; produzione: Marvel Studios; distribuzione: Universal Pictures; origine: Usa, 2011; durata: 103’


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