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Cappuccetto Rosso sangue

Pubblicato il 23 aprile 2011 da Alessandro Izzi
VOTO:


Cappuccetto Rosso sangue

Cappuccetto Rosso è la favola della fascinazione perversa del male.
Tra la casa borghese della piccola protagonista, chiusa nel consesso sociale del villaggio dominato dalle regole, e quella avita della nonna c’è tutto un bosco di giammai sopite allusioni e metafore sessuali. Luogo di transizione, oscuro ed arcano, il bosco è attraversato da una strada e da un’infinita possibilità di percorsi. La strada è una linea generazionale che unisce limpidamente il mondo dei figli a quello dei padri. Un sentiero rettilineo, già dato, già sperimentato, mortalmente noioso e che conduce naturalmente ai matrimoni combinati e all’idea di un organismo familiare che segue indolente l’avvicendarsi delle generazioni. L’infinta possibilità di percorsi, invece, porta sempre alla casa della nonna, ma può anche non farlo. La vertigine che consegue a questa estrema possibilità è quella dello smarrimento, dell’indefinita possibilità di apertura a scenari sempre nuovi da vita randagia, lontana dal villaggio, fuori dal mondo.
Nella fiaba Cappuccetto Rosso sceglie il percorso esterno, sfugge alla rotta imposta dalla madre e dalle logiche del villaggio, ma la sua meta resta casa della nonna. La tentazione è solo un momento all’interno del suo romanzo di formazione e il diventare grande passa ancora per il ricongiungimento con le sue origini rappresentate dalla progenitrice lontana. Inerpicatasi per sentieri scoscesi, la piccola conosce le magie del bosco, incontra il lupo cattivo che è prima di tutto rappresentazione inconscia di una sessualità libera e disinibita, ma poi, divorata (come pure la nonna a segno di un ciclo costante nelle femmine del clan), ricorre ad un cacciatore per tornare a quel mondo da cui pure era scappata.
Il sottinteso di Cappuccetto Rosso è, quindi, la curiosità, il bisogno di esplorare il proprio mondo pulsionale, la propria libido. La bambina deve attraversare il bosco. Quale che sia la strada che sceglie, la tentazione resta, ingombrante fardello del dolore del crescere.
Appunto: sottinteso! Chissà perché in America questa parola desta tanta preoccupazione nei produttori. Cappuccetto Rosso sangue non sembra aver chiaro sino in fondo il bisogno di non spiegare la metafora. Sicché all’inizio, quando veniamo immersi nel mondo fiabesco di un medioevo che più finto non si può, la petulante voice over della protagonista, in quattro e quattro otto, spiega con dovizia di dettagli tutta la parte sottesa della vecchia fiaba. Liquidato l’ingombro antropologico in poche battute, al film che segue non resta che mettere in campo il mistero di Pulcinella della vera identità del lupo che, essendo mannaro, caccia di notte per mimetizzarsi di giorno. Mistero di pulcinella davvero, visto che l’unico indizio è il colore castano degli occhi in un villaggio in cui tutti hanno gli occhi di tutt’altro colore.
Chiaramente l’usurata storiella della bambina e la vecchietta non basta a far discorso ed ecco che la Hardwicke, regista di un certo talento formale, ci piazza in mezzo un triangolo di facile presa presso quelle stesse ragazzine che aveva ammaliato in Twilight. Ecco allora che a correr dietro alla disinibita Cappuccetto Rosso sono un taglialegna ombroso, pallido ed aitante ed un fabbro di sicura posizione sociale che la ama tanto senza esserne ricambiato.
Ovviamente il bel taglialegna rappresenta la tentazione dell’illecito visto che la povera incappucciata è destinata a nozze con il terzo incomodo che, però, sospireranno le fanciulle, è tanto dolce e fedele.
La regista riporta avanti la lezione del film che l’ha fatta conoscere alle teen agers. La pulzella contesa, la fascinazione per il proibito, l’amore eterno tra ragazzini che non crescono mai per la sola ed ottima ragione che, in quanto archetipi, non invecchiano, i gridolini e gli sguardi volitivi, le ragazze che scelgono mentre i maschi fanno la ruota come pavoni in attesa supina della decisione. È questo l’ultimo approdo del femminismo? L’idea che alla donna spetti portare avanti il corteggiamento mentre l’uomo, castrato dall’onnipotenza del mannaro e del vampiro, si ritira per non farle male? Il massimo del romanticismo è diventato davvero un estenuato ritardare il fatidico momento della di lei prima volta?
Il romanticismo new age ottunde così la portata medievalista del racconto. Periodo selvaggio, quello vero, che di queste estreme pippe mentali non sapeva proprio che farsene. Così il villaggio, costruito nella cartapesta, è luogo sociale senza persone. Figura necessaria al racconto in quanto sfondo di un Cappuccetto giallo chiaro alla ricerca di un assassino che, come sempre, è il maggiordomo. Frattanto l’immagine respira in grande con paesaggi sontuosi e metafore sessuali con la fanciulla sulla neve con lo strascico che è così rosso che sa tanto di menarca.
La fiaba dei Grimm vola alta nella sua semplicità assoluta. A noi resta un film con più ambizioni e meno talento.


CAST & CREDITS

(Red Riding Hood); Regia: Catherine Hardwicke; sceneggiatura: David Johnson; fotografia: Mandy Walker; montaggio: Nancy Richardson, Julia Wong; musica: Brian Reitzell; interpreti: Amanda Seyfried, Gary Oldman, Shiloh Fernandez, Julie Christie, Max Irons, Lukas Haas, Michael Shanks, Adrian Holmes, Darren Shahlavi, Jen Halley, Carmen Lavigne, Cole Heppell, Virginia Madsen; produzione: Appian Way, Warner Bros. Pictures; distribuzione: Warner Bros. Pictures italia; origine: USA, 2011; durata: 100’


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