X

Su questo sito utilizziamo cookie tecnici e, previo tuo consenso, cookie di profilazione, nostri e di terze parti, per proporti pubblicit‡ in linea con le tue preferenze. Se vuoi saperne di pi˘ o prestare il consenso solo ad alcuni utilizzi clicca qui. Chiudendo questo banner, invece, presti il consenso allíuso di tutti i cookie



Carta bianca

Pubblicato il 26 giugno 2014 da Antonio Napolitano
VOTO:


Carta bianca

In una Roma periferica, tra zone industriali, campagne e tangenziali, tra villette a schiere e il Serpentone, alla vigilia di San Valentino, tre personaggi si incontrano e si scontrano: ancora non lo sanno, ma ognuno di loro sta per cambiare la vita dell’altro. Kamal (Mohamed Zouaoui) è un giovane pusher marocchino che vuole a tutti i costi integrarsi in Italia mentre spaccia droga nella biblioteca di quartiere. Vania (Tania Angelosanto), moldava che fa la badante di un anziano strozzino, è oppressa costantemente dalle allucinazioni del passato e vuole tornare nel suo Paese. Lucrezia (Patrizia Bernardini), invece è un’imprenditrice italiana sola con il suo cane che lotta per sopravvivere. Ognuno è legato ad un filo con l’altro e ogni azione dell’uno si rispecchia nell’altro senza che nessuno riesca a ricongiungersi, come in un prisma che riflette in maniera disomogenea la luce, in una struttura narrativa che procede per incastri e continui rimandi e interruzioni. Carta bianca è un film che si ispira ad un fatto di cronaca realmente accaduto che il regista ha letto su un quotidiano e di cui ha sentito la necessità di raccontare: la storia del giovane immigrato Sahid Belamel, morto a Ferrara nel 2010 per ipotermia, sul ciglio di una strada e nell’indifferenza generale.

André Maldonado è una forza della natura. Fa parte di quella schiera di autori e cineasti che non solo credono in quello che fanno ma ci provano e ci riescono pure. Carta bianca, secondo lungometraggio dopo Falene del regista colombiano ormai stabilizzato in Italia da una vita, è un’opera che prima di tutto rispecchia questa volontà e questa necessità del suo autore, ma anche di tutto il cast che vi ha preso parte. L’entusiasmo e la libertà creativa e artistica degli autori e di tutti quelli che hanno accompagnato il film andrebbe salvaguardato e protetto dal WWF. Fatto il giusto e doveroso omaggio e riconoscimento per chi vive e si occupa di cinema con rispetto e passione, spostandosi sul piano critico, il film, nonostante i meriti citati e le tematiche importanti e necessarie, lascia un senso di smarrimento. E non è uno smarrimento dovuto alla difficoltà della materia o alla complessità delle emozioni che il film fa vivere per novanta minuti. È più un senso di confusione. Dopo aver condotto lo spettatore per fili, trame, sottotrame, dopo aver incastrato storie, creato cliffhanger (quasi sempre deboli), tutto rimane costantemente appeso, poco affrontato, lasciando un senso di incompiuto. E non solo sul piano narrativo, ma soprattutto su quello emotivo ed empatico che lascia spesso lo spettatore fuori. Il film va avanti tra un accumulo di sviluppi e di filoni narrativi da una parte, mentre altri vengono solo sussurrati e accennati, lasciando così piccole tracce che confondono lo spettatore e lo portano spesso ad esplorare strade sbagliate. Ad una storia e una struttura pensata ad incastri, avrebbero fatto di sicuro bene più silenzi, meno dialoghi e meno sottotrame. Le visioni/allucinazioni di Vania oltre a disturbare visivamente, non approfondiscono il personaggio, né la sua storia, ma anzi lo banalizzano e appiattiscono solo per l’intento di far sapere allo spettatore che è un’immigrata che è stata seviziata e costretta a prostituirsi. Così come Patrizia passa le ore a vedere un video di un suo vecchio fidanzato, il suo unico amore che forse l’ha tradita e l’ha fatta andare in galera. Più che i dialoghi telefonati, sono i silenzi, le immagini vuote, le emozioni a riuscire a pennellare e abbozzare quelle sottotrame che spiegano i caratteri e gli obiettivi dei protagonisti. Basta una nota suonata male che tutto il componimento va a pezzi, soprattutto se si carica la storia di intrighi e di fili, alla fine si rischia di ritrovarsi legati in un labirinto dove non è più chiaro qual è l’inizio e quale è la fine. Convincono le interpretazioni dei vari immigrati tra cui quelle di Valentina Carnelutti e Tania Angelosanto nel ruolo rispettivamente di un’albanese e di una moldava, così come curati e indovinati sono i chiaroscuri e le atmosfere dark che seguono e sostengono la narrazione.


CAST & CREDITS

Regia: Andrés Arce Maldonado; sceneggiatura: Andrea Zauli; fotografia: Maura Morales Bergmann; montaggio: Jennie Vazquez Alarcón; musica: Max Trani; interpreti: Mohamed Zouaoui, Tania Angelosanto, Patrizia Bernardini, Valentina Carnelutti; produzione: produzione partecipata; distribuzione: Distribuzione Indipendente; origine: Italia, 2013; durata: 90’; webinfo: Sito Ufficiale


Enregistrer au format PDF