Cha và con và - Concorso
Il titolo (Big father, small father and other stories) di questa pellicola vietnamita che apre l’ultima giornata della Berlinale la dice lunga. Il film si regge infatti sulla dialettica fra una storia principale e una serie di storie parallele che interagiscono con essa. La storia principale – come tutto il film ambientato, ci dice il regista, all’incirca quindici anni fa quando il Vietnam si era definitivamente ripreso dai disastri della guerra – descrive i turbamenti del giovane Wu, fotografo di belle promesse, figlio di un pescatore/mercante che lo vorrebbe iniziare alla vita sessuale, ma il ragazzo, pur fra molte esitazioni, si sente piuttosto attratto dai ragazzi che dalle ragazze. Questa vicenda (alla problematica relazione padre/figlio allude dunque la prima parte del titolo) viene continuamente attraversata e affiancata da molte altre storie, accenni di storie (seconda parte del titolo) che vedono protagonisti almeno una decina di personaggi con i quali Wu ha relazioni più o meno strette che enucleano i temi più disparati: dalla delinquenza di stampo mafioso all’arte (non solo fotografia, ma anche danza), dalla prostituzione alla campagna governativa a favore della sterilizzazione. Lo stesso discorso vale per i luoghi, vi è un luogo dominante la catapecchia sul delta del Mekong del padre di Wu, ma alla casupola si alternano locali all’aperto, discoteche, scorci urbani e molta moltissima natura, l’acqua del fiume, il fango e le mangrovie. Comuni alla storia principale e alle storie parallele sono tre complessi tematici cui va l’attenzione del regista e del direttore della fotografia: i corpi (spesso seminudi), il cibo (in questo film si mangia in continuazione) e i canti un po’ melanconici ma mai tragici che punteggiano molte sequenze.
Diciamo che la storia principale è un po’ ripetitiva, il protagonista un po’ catatonico e dunque si fa fatica, qua e là, a giustificare tutto il peso che il regista ha deciso di dare proprio a questa storia, proprio a questo personaggio. Viene anzi da supporre che la struttura principale sia quasi frutto di un parziale ripensamento, soprattutto tenuto conto che la forza centrifuga del film, man mano che procede, sembra aumentare.
I protagonisti del film sono la macchina da presa di Nguyen K’Linh e, soprattutto la montatrice Julie Bézlau. La macchina da presa predilige la plongée, quasi a voler dare l’immagine – ovvero l’illusione di un’immagine – di un punto di vista che abbraccia la molteplicità delle storie e delle figure ma – visto che siamo a parlare di fotografia – che richiama da vicino anche certa fotografia degli anni ’20 e ‘30; anche se poi la macchina da presa sa muoversi con grande agio pure negli anfratti e nei pertugi della baracca sul fiume. Da elogiare in modo particolare il montaggio molto ritmico e che risponde alla necessità di alternare con estrema economia di mezzi la storia principale e le storie parallele. Fra gli interpreti la più brava e la più bella è Do Thi Hai Yen capace di conferire al proprio personaggio molteplici sfaccettature.
(Cha và con và); Regia, sceneggiatura: Phan Dang Di; fotografia: Nguyen K’Linh; montaggio: Julie Bézlau; interpreti: Do Thi Hai Yen (Van); Le Cong Hoang (Vu); Truong The Vinh (Thang); produzione: DNY Viet Nam Productions Hanoi, Acrobates Films, Paris; origine: Vietnam-Francia-Germania-Olanda, 2015; durata: 100’.