Chi è senza colpa

«Ti vedo in chiesa tutte le domeniche mattina e te l’ho sempre voluto chiedere: perché non prendi mai la comunione?» chiede il detective incaricato di svolgere le indagini su una rapina appena consumatasi in un bar di Brooklyn.
«Sono affari miei, no?» risponde piccato Bob che gestisce quel bar insieme al cugino Marv.
«Lo pensi davvero?» rilancia il detective.
In questo breve scambio di battute di un dialogo apparentemente molto marginale, si incarna uno dei cuori più profondi che pompano tutto il sangue e la poesia del racconto di Dennis Lehane (lo stesso autore che ha ispirato il Mystic River di Clint Eastwood e lo Shutter Island di Martin Scorsere): l’idea che la colpa di cui ci macchiamo non sia una cosa solo nostra, ma un inferno personale che si riflette tutto intorno a noi, coinvolgendo le persone che abbiamo intorno e che magari amiamo o vorremmo (ma quanto è difficile!) tanto amare.
La riflessione sulla colpa e sul senso che cerchiamo di darle nel corso della nostra esistenza è, del resto un’ossessione dello scrittore statunitense che si confronta qui, per la prima volta, anche nel campo della sceneggiatura desunta da un breve racconto Animal rescue che è piccolo, ma importante.
Un’idea che si unisce alla considerazione amara che noi siamo il nostro passato, che le scelte che compiamo oggi (anche quella di non prendere la comunione) dipendono in larga misura da ciò che abbiamo fatto o da ciò che gli altri hanno fatto a noi e che la nostra storia è un macigno che ci rende ad ogni passo difficile stare a pelo d’acqua senza farci trascinare giù dai vortici della nostra coscienza.
Intorno a questo nocciolo si riverberano diramazioni complesse che passano dal bisogno di una presa di responsabilità nei confronti dell’altro (fosse anche un cane trovato abbandonato come capita a Bob nel film) fino a giungere all’idea della definitiva incancellabilità della colpa stessa che è semmai una realtà con la quale si deve imparare a convivere, pur nella considerazione che, alla resa dei conti finale, quando ci troveremo di fronte a Dio, sarà lui a dirci quello che già sappiamo: che lì, proprio non possiamo entrare.
Michaël R. Roskam compone sulle base di un copione incredibilmente solido un film altrettanto robusto e denso. Assecondato da una storia che ha il merito di dipanarsi poco per volta, accumulando con giusta parsimonia dettagli significanti, il regista costruisce un film di genere in cui ogni elemento contribuisce al risultato complessivo come i fili della trama di un arazzo.
Poggiandosi sulla bravura degli attori (impressionante Tom Hardy, notevole il compianto James Gandolfini, struggente Noomi Rapace), l’autore riesce a mettere in scena un mondo in cui ognuno è a suo modo colpevole, ognuno ha un suo passato e ognuno deve sopravvivere alle sue scelte.
Senza mai spiccare il salto verso le altitudini della filosofia, The Drop. Chi è senza colpa ha il pregio di raccontare, attraverso una storia esemplare, un’umanità palpitante nelle sue contraddizioni e un mondo che avrebbe tanto bisogno di un raggio di luce.
Ma qui anche gli angioletti dei presepi hanno le ali rotte. E non è mai facile trovare la colla giusta per ripararle.
(The Drop); Regia: Michaël R. Roskam; soggetto: dal racconto Animal Rescue di Dennis Lehane; sceneggiatura: Dennis Lehane; fotografia: Nicolas Karakatsanis; montaggio: Christopher Tellefsen; musica: Marco Beltrami; interpreti: Tom Hardy (Bob), Noomi Rapace (Nadia), James Gandolfini (Marv), Matthias Schoenaerts (Eric Deeds), John Ortiz (detective Torres), Elizabeth Rodriguez (detective Romsey), Michael Aronov (Chovka), Morgan Spector (Andre); produzione: Chernin Entertainment; distribuzione: 20TH Century Fox Italy; origine: USA, 2014; durata: 107’
