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Cinema come rivelazione e arte della soggettività?

Pubblicato il 3 giugno 2013 da Filippo Baracchi


Cinema come rivelazione e arte della soggettività?

Crisi della società e crisi della visione? Se la crisi attuale è paragonata alla crisi del 1929, come si pone la visione in un panorama analogo? Nel 1924 il teorico Bela Balàzs scriveva nel suo saggio L’Uomo Visibile: "Il cinema è un’arte della superficie: quel che è dentro è anche fuori". Alcuni anni più tardi Siegfried Kracauer, filosofo e saggista tedesco, sottolineava ne La massa come ornamento del 1927: "l’analisi delle manifestazioni superficiali di un’epoca aiuta a determinare il posto che assume nel processo storico con più sicurezza che non i giudizi che essa ha dato di sé. [...] Il contenuto fondamentale di un’epoca e i suoi impulsi inavvertiti si illuminano a vicenda". Queste due affermazioni compaiono in un periodo storico che presenta molte analogie con l’epoca attuale di crisi in cui si ritrova il continente europeo e l’emisfero occidentale. La cultura in particolare si ritrova in un tornante molto più critico e frammentato rispetto a quello di allora: le ideologie totalitarie si contrappongono oggi alle nicchie estremiste, che sono diventante più diffuse e localistiche. E se al tempo la modernità veniva salutata come forza propulsiva, capace di mobilitare e muovere le masse, oggi post-modernità, globalizzazione e trans-culturalità confondono i confini per ricrearne di nuovi ancora più rigidi e forti. Come si pone la settima arte in questo contesto? La settima arte è ancora in grado di rivelare la profonda condizione di persone, cose e ambienti che oggi si ritrovano frammentati, fluidi e a rischio di una recessione/regressione distruttiva? I film sono ancora specchio della società presente, come scriveva Kracauer nel saggio Le piccole commesse vanno al cinema del 1927, sono "sogni ad occhi aperti della società", sono capaci di rispecchiare inconsciamente i desideri del ceto medio. E oggi con la crisi della classe media i film sono ancora lo specchio della società presente? La tecnologia ha creato l’uomo technologicum rifiutando la techné per il pensiero tecnologico e scientifico. Ha confuso i confini, mischiato gli orizzonti, ha creato universi paralleli, mondi virtuali, ha connesso e diviso territori, ha invertito l’orientamento della società, dando un peso maggiore all’individuo e al suo vissuto quotidiano. In questo panorama, la cinematografia italiana non si sofferma in particolare sui desideri del ceto medio, visto che nei gusti e negli stili è ormai internazionalizzato, ma è attenta a rispecchiare la società presente partendo dagli ultimi, i non-rispecchiati dai media tradizionali (si pensi a Et in terra pax di Botrugno-Coloccini, L’intervallo di L. Di Costanzo, Sette Opere di Misericordia dei fratelli De Serio). Se un pensatore nascosto e discusso come Siegfried Krakauer si fosse trovato in questa crisi avrebbe indagato il concetto di soggettività oggi. Soggettività è ancora espressione delle masse? Soggettività significa espressione di un’epoca, delle persone, delle cose e degli ambienti? Il dottor Caligari, Il dottor Mabuse, Nosferatu, Lulù, L’angelo azzurro erano rappresentazione di un’epoca buia, ma piena di novità e creatività tipiche delle modernità nascente e malgrado le inquietudini della grande depressione. L’io era in rapporto con l’ambiente in continua mutazione. Anche oggi l’io è in rapporto con una realtà in cambiamento che è però diventata liquida, in cui la soggettività necessita di una definizione in rapporto con l’esterno, con il globale e non più con il nazionale: il sovrafflusso di informazioni, di rappresentazioni sono sintomo di una mancanza di identificazione nel presente da parte dell’individuo (si pensi a Reality di Garrone). Se pensiamo alle estensioni che la soggettività oggi assume, secondo le diverse espressioni artistiche visive si comprende come la frammentazione locale sia connessa alla globalizzazione demente e occidentale della cultura (i tanti gangnam style presenti nella rete, dove l’effetto pancia ha il sopravvento sulla mente). Dunque la soggettività del cinema risulta inserita nella moltitudine di soggettività e virtualità - che poi quest’ultima è semmai una nuova oggettività. La nuova soggettività cinematografica è rappresentata da quel Ritorno alla realtà fisica (titolo di una delle opere più importanti e ancora attuali dell’autore tedesco) che è espressione di transculturalità attraverso micronarrazioni che popolano il locale. E’ proprio il documentario a costituire questo nuovo ritorno, attraverso storie e frammenti che ricompongono il reale e un immaginario nuovo (tra i documentari un esempio recente è La nave dolce di D. Vicari). Opere come Io sono Li di A. Segre, Un giorno devi andare di G. Diritti, ritraggono proprio una realtà vuota e lacerata in rapporto con l’esterno (le altre culture). In questa realtà in via di definizione, la rivelazione che possiede il cinema, l’arte della visione, la settima delle arti è la capacità di far emergere proprio queste micronarrazioni, questa dialettica transculturale attraverso un’analisi attenta della realtà. I simboli che ne derivano saranno le immagini che proprio in superficie avranno una capacità di narrare, raccontare quello che avverrà, che si opporranno alla quotidianità tecnologica e stereotipata e alle forme di globalizzazione demenziale. Il dialogo tra culture tra Li e il poeta in Io sono Li, come il dialogo a distanza tra madre e figlia di Un giorno devi andare, possono dare delle chiavi di interpretazione e d’uscita, per cercare di ri-costruire il presente frammentato e globalizzato. Come Kracauer alla soggettività e all’attenzione all’individuo faceva emergere l’opposizione al materialismo, oggi, proprio nella prospettiva globale, si deve far emergere l’opposizione tra soggettività materiale e globalizzazione immateriale (unione di stili e culture differenti). Quest’ultima contiene le particelle della nuova materialità, emotive e statiche. E se oggi l’uomo tecnologicum è virtuale e mobile, è dunque più materiale e dipendente.


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