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Cloud Atlas

Pubblicato il 10 gennaio 2013 da Alessandro Boni
VOTO:


Cloud Atlas

Affascinante e spiazzante al tempo stesso. Cloud Atlas avvolge e confonde pubblico e critica, dando così origine a valutazioni quantomai discordanti tra loro: dai 10 minuti di applausi alla prima presentazione al Toronto Film Festival 2012, alle frequenti stroncature, spesso sommarie ed ingenerose, di parte della stampa specializzata. Di sicuro si tratta di un film fuori del comune, una produzione ambiziosa che ha coinvolto un cast stellare e ben tre registi del calibro di Tom Tykwer (Lola corre e The International tra gli altri) e dei creatori di Matrix, i fratelli Wachowski (per la precisione fratello e sorella, ora, dopo che Larry è diventato Lana); con un budget di oltre 100 milioni di dollari e senza l’intervento delle majors, è lo sforzo produttivo indipendente più gigantesco della storia del cinema. Epico e spettacolare, Cloud Atlas è un enorme mosaico che si compone sotto gli occhi dello spettatore e che soltanto alla fine svela il suo disegno d’insieme: un disegno complesso, peraltro, che travalica il tempo e lo spazio e che affronta coraggiosamente tematiche “filosofiche”, sulla vita e sul suo senso, sulle aspirazioni dell’uomo e sulla sua insopprimibile esigenza di libertà. Il problema è che per giungere ad una accettabile comprensione dell’opera e delle sue finalità si fa tanta fatica, forse troppa.

I registi, che si sono basati sull’omonimo best seller di David Mitchell, hanno curato anche la sceneggiatura del film, realizzando peraltro un colossale lavoro di smontaggio e rimontaggio del libro, con l’obiettivo di trarne il massimo effetto cinematografico. Il testo originale era strutturato, infatti, su sei storie che venivano seguite fino al raggiungimento di un climax, per essere momentaneamente interrotte e poi riprese singolarmente per la loro conclusione; il film, invece, punta tutto sulla rappresentazione parallela delle diverse linee narrative senza un lineare criterio spazio-temporale, nell’intento di farle risultare alla fine quasi fuse in un’unica storia.
In Cloud Atlas, la narrazione si sviluppa nell’arco di cinque secoli: dall’Ottocento, per seguire un giovane avvocato che aiuta uno schiavo in fuga durante un viaggio dalle isole del Pacifico; agli anni trenta, in Scozia, con la tormentata storia di un talentuoso compositore che cerca di difendere la paternità delle sua superba sinfonia; agli anni settanta, per l’eroico sforzo di una giornalista teso ad evitare un tremendo incidente nucleare; ai giorni d’oggi, per la paradossale vicenda di un editore intrappolato in una blindata casa di riposo; all’anno 2144, con una clone operaia che prende coscienza del suo stato e si ribella; per finire ad un post apocalittico 2300, in cui un pastore lotta per la sua sopravvivenza e trova poi la salvezza facendo i conti con la propria coscienza. Ciascun filone narrativo viene portato avanti in modo parallelo, spostando ritmicamente l’attenzione dall’uno all’altro, e i legami tra epoche e personaggi si rivelano man mano che le tessere del mosaico vanno a collocarsi al loro posto, per formare un’immagine unica.

L’intento fondamentale del romanzo di Mitchell è quello di esplorare l’eterno ricorrere di relazioni fra anime, che sopravvivono alla morte per poi rinascere e rinnovare i loro legami con le altre anime; Cloud Atlas, il film, asseconda pienamente questo principio ispiratore e lo corrobora, utilizzando gli stessi attori per ruoli diversi che però rappresentano l’evoluzione della stessa entità durante i secoli. Questa scelta di “marcare” le anime, per renderle riconoscibili nelle differenti storie, ha imposto intense sedute di trucco per gli interpreti, che hanno tuttavia accettato di buon grado il seccante fardello, offrendo anche prove di notevole spessore. Tra le altre, oltre a quelle di Tom Hanks, Halle Berry e Hugo Weaving - un vero duro anche come donna - spicca la performance di Jim Broadbent (Oscar da non protagonista nel 2002) che passa senza impacci dai toni grotteschi a quelli intensamente drammatici.

Un impianto scenografico altamente spettacolare, sequenze di elevato impatto visivo e tecnicamente ineccepibili, effetti digitali di grande qualità, un cast di attori validi ed entusiasti, una storia che punta ad intrattenere ma soprattutto a far riflettere su temi molto seri: tutto questo è Cloud Atlas. Eppure il film finisce per non convincere appieno: al termine della visione, infatti, la sensazione che predomina è di strisciante insoddisfazione. In parte, a ciò contribuisce l’eccessiva disinvoltura con cui si assemblano e si sovrappongono generi estremamente diversi, dal fantascientifico al thriller, dal melodramma alla commedia; più in generale, però, a creare disorientamento è proprio lo sviluppo parallelo delle storie, con il ricorso ad un montaggio alternato che propone a volte sequenze troppo brevi. Si fa fatica ad amalgamare i vari fili della narrazione e ciò rende più difficile anche la comprensione delle tematiche di fondo del film.


CAST & CREDITS

(Cloud Atlas) Regia: Tom Tykwer, Andy e Lana Wachowski; sceneggiatura: ; Tom Tykwer, Andy e Lana Wachowski fotografia: Frank Griebe, John Toll; montaggio: Alexander Berner; musica: Reinhold Heil, Johnny Klimek, Tom Tykwer; scenografia: Uli Hanish, Hugh Bateup; interpreti: Tom Hanks, Halle Berry, Hugo Weaving, Jim Sturgess, Susan Sarandon, Hugh Grant, Jim Broadbent; produzione: Cloud Atlas Production, X-Filme Creative Pool, Anarchos Pictures, Ascension Pictures, Five Drops, Media Asia Group; distribuzione: Eagle Pictures; origine: Germania, Usa, Hong Kong, Singapore; durata: 172’.


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