X

Su questo sito utilizziamo cookie tecnici e, previo tuo consenso, cookie di profilazione, nostri e di terze parti, per proporti pubblicit‡ in linea con le tue preferenze. Se vuoi saperne di pi˘ o prestare il consenso solo ad alcuni utilizzi clicca qui. Chiudendo questo banner, invece, presti il consenso allíuso di tutti i cookie



Comfort

Pubblicato il 12 maggio 2008 da Luigi Coluccio


Comfort

<<Una casa non deve mai essere “su” una collina o “su” qualsiasi altra cosa. Deve essere “della” collina, appartenerle, in modo tale che collina e casa possano vivere insieme, ciascuna delle due più felice dell’altra>>.
Frank Lloyd Wright, Autobiografia

Scambio osmotico di funzioni, di forme, di esistenti, quello postulato dal geniale architetto americano. La sua era un’ “architettura organica” che tendeva ad un’interrotta armonia tra l’umano e il naturale, attraverso un “sistema in equilibrio” creato ex-novo dall’architettura. Strano però che colui il quale ha vergato con splendida mano queste parole, abbia, letteralmente, “disegnato” la pietra angolare di una scissione insanabile: il Solomon R. Guggenheim Museum di New York. Qui la connessione tra l’umano presente nel complesso –le opere d’arte-, il complesso, e la natura circostante, viene meno.
Un disequilibrio organico venne creato. E le conseguenze furono enormi...

Comfort, ultimo spettacolo della compagnia MK, concepito all’interno di ZTL-pro –progetto produttivo della rete ZTL-zone teatrali libere che racchiude gli operatori indipendenti romani Rialto Santambrogio, Teatro Furio Camillo, Angelo Mai, Santasangre-Kollatino Underground, Triangolo Scaleno Teatro- e presentato al Teatro Palladium di Roma il 3 e il 4 maggio, sembra inserirsi con un grandissimo gradiente di consapevolezza all’interno della scissione prima dichiarata.
Continuando a tessere un’incessante ricerca teorica ed estetica nel campo delle arti performative, MK –tra le realtà più importanti presenti oggi in Italia, e che ha nel suo carnet spettacoli come Fortezza (2002-2006), Divano occidentale (2005) e Tourism (2006)- compie un altro, capitale, passo verso quella ridefinizione del rapporto tra spazio performativo, ricerca corporea e fruizione che tanto sembra attanagliare il loro lavoro: ecco dunque un episodio di Fortezza (febbraio 2006) intitolato Centocinque cugini incidersi dentro il progetto Mahabharata di Fabrizio Favale/Le Supplici; o, andando indietro nel tempo, Bird watching (2002-2003), al cui debutto, nell’aprile 2003 al Festival Danae di Milano, i danzatori agivano –ma la performance era già iniziata...- solo quando erano sicuri che gli spettatori non potevano osservarli. E non appare un caso che questo Comfort segua/preceda WASTED - intuizioni sul mondo in attesa che diventino una costruzione compiuta, evento inserito nel F.I.S.Co. - Festival Internazionale sullo Spettacolo Contemporaneo di Bologna di questo anno: il progetto, realizzato alla manifestazione bolognese del 2007 dalla compagnia Kinkaleri, ed intitolato W –che sta per la “M” della metropolitana capovolta-, è stato “ceduto” proprio alla compagnia romana, che per quarantotto ore ha “abitato” un sottopassaggio metropolitano “aperto” al pubblico solamente nelle ultime ore del secondo giorno. Una performance site-specific che è stata una “sopravvivenza ergonomica” -in cui nessuno dei due termini sembra avere la meglio sul risultato finale della residenza- capace di far divenire il luogo un (non)site-specific attraverso la manipolazione della sua forma e della sua funzione iniziale.
Comfort appare quindi come il risultato ultimo –in termini temporali- di questa costante e spiazzante ricerca di un nuovo "esser-ci" . E l’attacco del nostro pezzo con un passo tratto dall’autobiografia di quel mostro sacro che è Frank Lloyd Wright non appare per niente fuori luogo.
Fin dai nostri primordi, infatti, l’architettura –qui sotto forma della capanna-palafitta- si è radicata attorno la vita quotidiana ed extra-quotidiana dell’uomo, rappresentandone una delle maggiori e più antiche e, si, inesplorate forme di espressione artistica. La bilancia della diade artisticità/funzionalità ha però assegnato troppo spesso la vittoria alla seconda, operando sull’homo urbanus una costrizione fisica e psicologica millenaria. MK, attraverso installazioni, performance, spettacoli che tendono a ridefinire spazialmente e concettualmente il nostro esser-ci attorno ad un qualcosa, devono, e fanno, i conti con tutto ciò. Lo <<spazio domestico>> postulato da MK è innanzitutto, anzi, è solo, il disequilibrio organico di Wright.
WASTED si è sviluppato attorno a delle artistiche cinque e più “W” –“Warehouse”, “Where is my mind?”, “Walkabout”, “What?”, “Wake”, “Wasted”, “Warning”, “Wolf”- e il titolo sembra affatto alludere allo “spreco” operato quando la “W” ridiviene capovolta per assumere di nuovo la forma, e la funzione, di “M”.
Comfort porta, in un contesto spettacolare, ancora più avanti queste stringenti riflessioni. I quattro danzatori-perfomer presenti in scena costruiscono una rete relazionale nuova tra loro e l’attore-performer operante sul palco. Il corpo diviene, dopo lo spazio urbano di WASTED, il luogo in cui esser-ci, in cui ri-attivare tutta una serie di forme e funzioni altrimenti inutili, soffocate, nell’homo urbanus. E se <<abitare è flirtare con il disastro>> ecco l’attore-performer relegato in fondo alla, la sua si, scena: letteralmente schiacciato da questi meccanismi allo stesso tempo materiali ed evanescenti, il suo è un mondo materico –come lo è quello del corpo-, ma pesante, pieno di inutili oggetti che arrivano a coprirgli, attraverso una maschera di bianco cartone, il viso. Solo quando attraverserà un confine forse inesistente ed ammirerà le nuove architetture, le nuove, positive, cinque e più “W”, potrà togliere la maschera e biascicare al microfono poche, leggere, parole...
Basta poco ai danzatori-perfomer Cristina Rizzo, Biagio Caravano e Lorenzo Bianchi per creare, e trovare, dei vecchi oggetti che divengono parti inscindibili, comfort, di questi corpi-architetture: delle scarpe da tip-tap, una coperta, tre giubbini. I rumori musicali di Vincenzo Dente sembrano moltiplicare all’infinito il processo spaziale e concettuale in corso, abbassando l’intensità o librando in lunghi stridii i movimenti dei singoli danzatori-performer che, dai lunghi archi descritti dalla Rizzo ai parossistici duetti di Caravano-Bianchi, esplorano con efficacia –un solo appunto potrebbe andare al debole duetto di “tap” proprio tra i due- ogni spettro possibile di questo nuovo, e fondante, corpo-architettura.


Di: Philippe Barbut, Lorenzo Bianchi, Biagio Caravano, Vincenzo Dente, Michele Di Stefano, Cristina Rizzo Una produzione: ZTL-pro/Angelo Mai, MK08 In collaborazione con: CanGo - Cantieri Goldonetta Web Info: Teatro Palladium, MK, ZTL-pro, Fabrizio Favale/Le Supplici, Kinkaleri, Festival Danae, F.I.S.Co. - Festival Internazionale sullo Spettacolo Contemporaneo, Frank lloyd Wright, Solomon R. Guggenheim Museum di New York


Enregistrer au format PDF