Conferenza stampa Amos Gitai: Roma, Palladium, 08/05/06

Nel film c’è una storia di donne e una storia di un non-luogo, la “Free Zone”, sconosciuta a noi occidentali...
Amos Gitai: Il mio tentativo era vedere in che modo col cinema si potesse tentare di attraversare una zona così divisa, fisicamente e mentalmente. Io ho cercato di andare verso l’“altro”. Volevo uscire dal genere “telegiornale delle 20”: la televisione italiana, americana, francese, israeliana e palestinese fanno “lo spettacolo della politica”. Io ero interessato ad andare verso la sostanza di come si svolge effettivamente la vita lì.
Free Zone è ispirato ad una storia vera che mi è stata raccontata da Ofer, un tradizionalista conservatore, molto diverso da me: io sono per la riconciliazione. Mi raccontò di quando si è ritrovato disoccupato e si è messo d’accordo con un partner giordano per il commercio d’auto in questa Free Zone, i cui clienti provengono da tutto il Medioriente: mi è sembrata una storia di science-fiction. Ho voluto fare un viaggio con lui, in questa zona al confine tra Giordania, Iraq, Siria e Arabia Saudita. Poi ho parlato con la mia co-sceneggiatrice e abbiamo pensato di trasformare tutti i personaggi da maschili che erano, in femminili.
Hana Laszlo è una straordinaria interprete teatrale. Hiam Abbass una grande attrice palestinese. E io sono diventato qualcuno di molto più bello di me... ovvero Natalie Portman!
Il finale del film, con la ragazza americana che fugge in avanti, mentre le due donne sono rinchiuse nella macchina a discutere, ha qualche attinenza con l’attuale situazione politica?
Amos Gitai: Ho parlato prima del ruolo dei telegiornali. Non dobbiamo gettare però tutta la colpa sui media. Anche noi abbiamo contribuito ad intossicare le immagini (l’uno dell’altro). Anche noi utilizziamo queste immagini intossicate. Quando vediamo alla TV le immagini dello tsunami, vediamo immagini della nostra stessa tristezza. Ma dobbiamo fare qualcosa noi, israeliani e palestinesi. Se non troviamo insieme delle forme di dialogo, il resto del mondo si stancherà e non ci aiuterà più. Siamo noi che dobbiamo trovare forme di coabitazione. Queste donne hanno già fatto un passo in più, perché scelgono comunque di dialogare.
In Europa è diverso: se la Francia non è d’accordo sugli accordi in materia di politiche comunitarie per l’agricoltura, non è che provochi una guerra. Anche noi dobbiamo imparare a fare così.
Io sono un architetto, amo i dettagli, le piccole cose: è da lì che si costruiscono storie.
La canzone tradizionale della scena iniziale e finale (che conosciamo in Italia come La Fiera dell’Est di Branduardi) è proposta nella sua versione originale o è stata modificata per essere usata nel film?
E’ una canzone collegata alla Pasqua: il testo tradizionale risale al Medioevo, credo... Racconta questa storia ciclica, che è perfetta per il film. La cantante ha fatto una piccola modifica, aggiungendo un suo piccolo punto di vista.
Al di là del vetro c’è il Muro del Pianto e con il primo piano di un viso umano e questa canzone rituale, abbiamo ottenuto un effetto davvero spettacolare con qualcosa di molto semplice. Natalie Portman ci ha regalato diversi minuti di emozioni intense e credo che non le abbia fatto molto piacere quello che ha scritto il New York Times e cioè che quello che ha fatto nei primi 10’ del film non lo aveva mai fatto prima...
La distribuzione italiana consta di sole 10 copie, un po’ pochine però... in Italia c’è una “zona franca”: quella della distribuzione...
Luciano Sovena: Mi dovete spiegare perché su una multisala con 50 schermi, oltre 20 sono occupati da Mission Impossibile: 3.
Tra di noi del Circuito Cinema (Istituto Luce, BIM, Mikado, Lucky Red) abbiamo un ottimo rapporto. Ma abbiamo poche sale, che devono comunque pagare le bollette.
Però il problema è generale: una volta su rai3 andavano in onda i film di Kieslowski, mentre ora in giro c’è La Fattoria, tutti quei programmi sul calcio ecc... Come si fa, così, ad “educare” il pubblico?
Noi del Luce comunque siamo entrati nel progetto già in fase di sceneggiatura. Credo sia importante sottolineare il fatto che il film uscirà in versione originale sottotitolata e non doppiata: abbiamo quindi dato ascolto alle molte richieste in tal senso e poi non si poteva doppiare un film così...
Amos Gitai: Io provengo da una cultura minoritaria e non c’è niente di male. Capisco i problemi di Luciano Sovena (amministratore delegato dell’Istituto Luce), perché poi bisogna vedere come gestirlo questo potere minoritario.
Ma è da sempre che va così: la maggior parte del popolo è contro la cultura, che è minoritaria. Noi non dobbiamo forzare i media ad andare contro natura: dobbiamo invece difenderla questa cultura minoritaria. E non dobbiamo nemmeno avere dei complessi di inferiorità nei confronti del cinema spettacolare americano: anche quello deve avere i suoi spazi.
In fondo, Gerusalemme è una città di 1 kmq: ma ha influenzato tutto il mondo con le sue dottrine...
