Conferenza stampa con John Turturro. Roma, Hotel Exedra, 03/05/06

John Turturro arriva trafelato nella saletta del primo piano dell’hotel Exedra di Roma. Il tour de force delle interviste con giornali e televisioni non intaccano una naturale simpatia e predisposizione alla chiacchierata informale. Il capello riccio brizzolato, jeans e giacca blu, un look casual elegante che ben si addice all’immagine che si evince dai suoi film diretti e interpretati.
Prima di tutto, complimenti per la piccola parte danzante, un piccolo cameo, ma molto divertente..
Grazie, mi piace molto danzare, ma sono solo un ballerino frustrato!
Una folle storia d’amore che cambia spesso registro durante il corso del film..
Apprezzo molto quei film che rispettano un unico registro, una coerenza di tono, ma preferisco quelle pellicole che non presentano questa continuità, in cui si cambia registro, penso in particolare ai lavori di Jean Renoir, Fellini, Bunuel, ma anche Michael Powell. Per Romance & Cigarettes l’idea è stata quella di raccontare una storia umana, vera, dirigendo la narrazione e il linguaggio filmico verso la commedia con elementi spiccatamente sessuali e da musical, elaborati in un secondo momento rispetto al puro soggetto che ho accarezzato per molti, molti, molti anni. Ecco perché è così folle questo film!
Oltre a una invidiabile carriera cinematografica, la sua carriera di attore teatrale ha abbracciato lavori di Brecht, passando per il Godot beckettiano. In che misura l’hanno influenzata questi due mostri sacri nella realizzazione di Romance & Cigarettes?
Amo molto il mondo creato da Brecht, è molto forte, ma in molti suoi lavori può apparire un mondo senza emozioni, distante, e questo aspetto non fa parte della mia sensibilità, anche se apprezzo molto il suo rigore, la sua forza e la capacità creativa. Beckett è più minimalista, preferisco i suoi romanzi alle piéces teatrali, ha scritto pagine molto divertenti nei suoi libri, dove analizza con molta acutezza i rapporti tra uomo e donna, come nel mio film. Ogni cosa che leggo mi influenza in una certa misura, mi apre verso nuove prospettive. D’altronde, ogni individuo non è che la somma delle proprie esperienze e di tutte le cose lette, viste e vissute nella vita, finalizzate alla costruzione di equilibrio personale. Per quanto mi riguarda cerco di trasmettere questi elementi della mia esperienza di vita nei film, ma immergendo i personaggi in un mondo più immaginario, lasciando molto spazio alla creatività.
Da tempo si sta cimentando nell’interpretazione della commedia Questi fantasmi di Eduardo De Filippo, già portato in scena a New York e a Napoli lo scorso gennaio: un progetto che adatterà anche per il grande schermo?
Sto discutendo con Luca De Filippo di questa possibilità, ho delle idee molto potenti sull’adattamento che vorrei fare, non intendo realizzare il teatro al cinema, si tratta di lavorare all’essenza della commedia e trasformarla in un vero e proprio film, mantenendo bene a mente il mondo in cui la storia è calata. Allo stesso tempo per come è strutturata la commedia, c’è molto spazio per l’invenzione, per una rielaborazione creativa per quanto riguarda l’aspetto visivo.
Cosa ha trovato in Eduardo?
Non conosco molte sue commedie a causa della mancanza di traduzioni, un problema che riguarda non solo la letteratura italiana. Nelle commedie di De Filippo ho scoperto una sensibilità molto moderna, colma di inventiva, di comicità pura e Questi fantasmi presenta uno dei più bei finali che abbia mai avuto il privilegio di recitare a teatro.
Un aforisma di Truffaut recita che ogni film deve riflettere il pensiero del regista sulla vita e sul cinema. Il cinema di oggi segue questa linea?
Purtroppo non frequento i cinema come in passato, ho figli, troppo lavoro, nello specifico inoltre non vedo più molti film italiani anche perché non vengono importati negli Usa, se non per alcuni festival... Senza dubbio un film come una qualsiasi forma d’arte deve riflettere la personalità del suo creatore, io stesso provo a fare un cinema tradizionale, ma adottando un linguaggio personale. In Romance ho cercato di lasciare più spazio alla creatività che in passato, in particolare nei dialoghi e nella scelta delle musiche, con la finalità di avvicinarmi a un pubblico più giovane. Vorrei infatti portare i giovani a vedere un certo modo di fare cinema, ad avvicinarsi a un tipo di cinema diverso da ciò che viene propinato dalle grandi produzioni hollywoodiane. Il pubblico in realtà è potenzialmente aperto verso un cinema di qualità, ma non ne è più abituato, è stato indirizzato verso i film modello Mission Impossibile. Quando avevo diciott’anni, e usciva un film di Lina Wertmuller o di Bertolucci o Fellini, andavo a vederlo con la mia ragazza del tempo, mi gustavo il cinema di tutto il mondo, da Fassbinder a Bergman e Scorsese. Ora è il gusto dei più giovani che in nome del marketing impone quali film produrre e quali no: è molto importante sviluppare un vero e proprio nuovo ‘appetito’ nel pubblico medio verso certe pellicole. In base a questo modello cerco di rapportarmi quando preparo un film.
Che metodo ha usato per lavorare con il cast?
Abbiamo provato moltissimo, innanzitutto leggendo più volte insieme il copione intorno a un tavolo, quindi con numerose prove di danza, molte improvvisazioni e qualche esercizio. Uno dei quali consiste nello scegliere una battuta a caso di un qualsiasi personaggio dal copione e continuare a trasformarla e comunicarla in maniere differenti di fronte agli altri, cantando, ballando. Un esercizio difficile ma molto divertente per tutti, c’era chi era più bravo, naturalmente, ma in fondo ha aiutato tutti a sciogliersi. Quindi letture del copione con l’attore singolo, un fatto raro nel cinema, dato che spesso le prove avvengono il giorno stesso delle riprese, non conoscendo nemmeno gli attori con cui si reciterà. Nel mio ‘metodo’, invece, volevo dei ‘dilettanti professionisti’, che ricreassero tra di loro un feeling simile a quello che si instaura tra bambini che giocano, perché tendenzialmente l’attore tende ad essere molto controllato, si protegge. Io desideravo invece estrapolare la loro più assoluta spontaneità, per conferire al film un’impronta più grezza, più vera.
Nel ricco cast del film, spicca la teen-idol Mandy Moore, rivelazione già in American Dream...
I love Mandy! Ovviamente essendo un’attrice giovane, ha ancora molti elementi di recitazione da affinare, ma mi piace molto, è una persona delicata ma dal carattere forte, un’attrice dal potenziale molto elevato, ci lavorerò ancora, questo è certo!
Lei ha fatto un largo uso di canzoni popolari italiane, da dove deriva questa conoscenza?
In parte per conoscenza diretta che risale alla mia infanzia e adolescenza, in parte scoperta durante la lavorazione. Ho cercato di usare canzoni i cui testi si adattassero alla storia, aiutandomi a raccontare il mondo che volevo rappresentare. Alcune frullavano nella mia testa da sempre, come Delilah: in passato mi ossessionava l’idea di usare questa canzone in un mio film. Da ragazzo ascoltavo molta musica, sentivo molte canzoni italiane, facevo molta confusione però tra le varie versioni che circolavano. Per esempio con Quando m’innamoro: io conoscevo solo la versione inglese e ascoltando la canzone originale in italiano, ho scoperto che la traduzione pone al centro un personaggio maschile invece di quello femminile. Un altro esempio è It must be him, cantata nel film da Aida, in origine una canzone francese, ma ho usato anche canzoni spagnole. Avevo stilato una lista di un migliaio di canzoni che potevano funzionare nella storia, scremando man mano che procedevo con la scrittura.
Lei ha ambientato il suo film in un quartiere periferico di New York, una tendenza, quella di spostare l’ambientazione verso la periferie delle città e la provincia che si riscontra molto nel cinema americano contemporaneo..
Le storie che si possono ambientare nei luoghi periferici sono numerose, in tutta la storia del cinema, basti pensare a Le notti di Cabiria, ambientato nella periferia romana. New York è una grande città con mille sfaccettature, non è solo la grande metropoli stereotipata. Io stesso sono cresciuto in un luogo di confine, il Queens, dove addirittura c’erano delle piccole fattorie, un quartiere molto americano tra l’altro, con casette a schiera: una zona piatta, senza nulla, vicino agli aeroporti, un luogo da cui fuggire insomma. Ma spesso, una volta avvenuta la fuga da un luogo simile, ci si guarda indietro, come ho fatto io, e grazie a questa distanza si possono trovare elementi molto interessanti.
Romance & Cigarettes contiene in qualche elemento il fantasma dei fratelli Coen, qui in veste di produttori?
Joel ed Ethan sono venuti a trovarmi due volte sul set, sono stati produttori molto discreti, mi hanno aiutato molto nel montaggio, oltre che a trovare i soldi necessari, ma più che fantasmi, per me sono stati i Godfathers del film!
[3 Maggio 2006]
