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Conferenza stampa Ismael Ferroukhi: Roma, Casa del Cinema, 28/04/06

Pubblicato il 5 maggio 2006 da Flavia Innocenti


Conferenza stampa Ismael Ferroukhi: Roma, Casa del Cinema, 28/04/06

L’obiettivo principale del suo film sta nel voler rappresentare il mondo musulmano al di là dei numerosi luoghi comuni che lo investono. Può sviluppare questa sua idea?

Purtroppo quando si parla del mondo musulmano si tende a concentrare l’attenzione su quel 2% di criminali contro il 98% di una maggioranza silenziosa. È giunto il momento di dar voce anche a questa maggioranza, proprio nell’interesse degli stessi musulmani, che sono le prime vittime di tali ignobili luoghi comuni. È tempo che si parli di questo e io nel mio piccolo ci sto provando, ciò va oltre il semplice credere o meno: io non sono né praticante né religioso, ma ho fatto il film pensando ai genitori alle persone semplici a tutti coloro che sono dimenticati.
Il mio è un film universale sul rapporto padre/figlio.

Per chi non è musulmano praticante, il viaggio alla Mecca che valore ha?

Quello che io ho visto e sentito quando sono arrivato alla Mecca è stata una grande forza spirituale, i pellegrini che si recano alla Mecca indossano tutti lo stesso abito, gente di razze diverse appartenenti a classe sociali lontane fra loro si ritrovano nello stesso luogo. Non è più possibile riconoscere il povero dal ricco. Questo è ciò che ha rappresentato per me la Mecca, e forse tale sensazione è percepibile indipendentemente dal credo.

Si può dire allora che la Mecca diventa nel film un luogo figurato senza confini né nazionalità, un luogo interiore?

È senz’altro così! la Mecca era solo un pretesto per un viaggio interiore. Réda compie un pellegrinaggio che lo porta ad incontrare se stesso.

La figura della vecchia può essere interpretata come l’immagine della morte o del pericolo?

La presenza della vecchia mostra subito la differenza di mentalità tra i due: il padre crede che la donna possa essere una guida per il viaggio o un’inviata dal cielo, il figlio la identifica come una sorta di strega. Come in tutti i viaggi c’è da un lato la minaccia dall’altra la protezione.

Tra le giovani generazioni di origine africane o arabe ben integrate e i genitori che hanno vissuto l’emigrazione esistono dei contrasti culturali, generazionali come si evince dallo stesso film. In Francia come si cerca di risolvere tali conflitti?

I contrasti generazionali sono innegabili, ma il conflitto è universale. Io ho girato molto il mondo per presentare il film e tutti ogni volta mi hanno riportato al loro vissuto. È chiaro che le differenze aumentano per coloro che appartengono a paesi e culture lontane. La soluzione per me è la riconciliazione, perché quando si appartiene a due culture diverse si è più ricchi. Quando Réda comprende il padre è il momento in cui scopre se stesso.
Il rifiutare le culture oltre ad essere pericoloso impoverisce l’umanità.

Qual è stato il budget previsto per questo film? E di che tipo di produzione si è avvalso?

Il budget è stato fissato intorno ad un milione di euro, e la produzione è in realtà una coproduzione maggioritaria francese, in cui ha partecipato per la Francia Artè e il CNC (Consiglio Nazionale della Cinematografia francese) con la partecipazione del Consiglio Nazionale della Cinematografia marocchina.

Alcune scene sono state ricostruite in Marocco, in queste scene ci sono anche quelle relative alla Mecca, o quelle sono state girate proprio sul posto? Ci sono stati problemi logistici? Spesso si sente ripetere che in occasione dei pellegrinaggi ci sono numerosi morti a causa della moltitudine di pellegrini che si raduna.

È la prima volta che si sono autorizzate delle riprese cinematografiche alla Mecca e per me questo è stato motivo d’orgoglio essendo al mio primo film. Io volevo girare tra la folla con la macchina da presa: ma non ci sono stati problemi con i pellegrini, al contrario, abbiamo dovuto ottenere una serie di autorizzazioni dalle autorità locali, le quali sono abituate a dare permessi alle troupe televisive che però fanno poche riprese e poi se ne vanno. Noi avevamo necessità di girare più a lungo e spesso anche più volte la stessa scena.

Sta lavorando ad un altro film?

Per un anno e mezzo non ho fatto altro che presentare il film all’estero, poi mi sono fermato e ho pensato che questo non era il mio mestiere. Purtroppo il film non è uscito in nessun paese arabo e questo è un po’ un paradosso, ma è stato presentato a Festival o nei centri culturali francesi. Spero possa uscire in Marocco.
Ora sono quattro mesi che sto lavorando ad una sceneggiatura.

Che idea ha del rapporto Islam/Occidente? E cosa ne pensa della guerra in Iraq?

Personalmente penso che questo rapporto si stia degradando sempre di più, eppure credo che nel mondo si può lavorare insieme per portare avanti delle cose costruttive e umane e arricchirsi con l’altro. Al contrario, si alimenta la paura tra le culture. Io che ho la fortuna di appartenere a due culture diverse vi posso dire che è una ricchezza illimitata.
Per quanto riguarda la guerra in Iraq, sono contrario come è contrario il 95% degli abitanti del pianeta.
C’è una domanda che ancora non mi avete fatto: perchè ho fatto questo film?
Quando avevo dodici anni vivevo nel sud della Francia e a un certo punto mio padre decise di compiere il viaggio verso la Mecca da solo e in automobile. Affascinato da questa avventura mi ricordo che segnai sulla cartina il percorso che doveva fare: quando ci pensavo avevo in mente più l’esperienza “eroica”( per un bambino) piuttosto che il lato religioso. Io pensavo non allo scopo del viaggio, ma al tragitto in sé e per sé, ed è per questo che quando ho voluto raccontare una storia traumatica tra un padre e un figlio mi è ritornata in mente questa storia. Nel film non si parla mai di religione, e questo per me è molto importante.

Lei si riconosce di più nella figura del padre o del figlio?

Questa è una domanda che non capisco. È chiaro che mi posso sentire più vicino al figlio, ma in tutto il film ho cercato di non prendere mai una posizione: entrambi i punti di vista sono comprensibili.


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