CONFIDENZE TROPPO INTIME

A quindici anni di distanza da L‘insolito caso di M. Hire, Sandrine Bonnaire torna ad essere la musa ispiratrice di Patrice Leconte, maestro di un cinema che più francese non si può, nella migliore accezione del termine. Sorretto dalla sceneggiatura di ferro di Jerôme Tonnerre, in passato collaboratore di Truffaut, di cui confessa di essersi appassionato quando era solo un abbozzo, Leconte realizza un film di mirabile equilibrio tra dialoghi e silenzi, solitudine e amore, malinconia e umorismo, nonché la più garbata e feroce satira della psicanalisi che si sia vista dai tempi d’oro di Woody Allen. Come ne L’uomo del treno, anche in questo caso si tratta dell’incontro di due solitudini, che da casuale diviene essenziale per cambiare la propria insoddisfacente esistenza, ma stavolta, trattandosi di un uomo e di una donna, non può mancare un sottile e cerebrale gioco di seduzione. La stessa casualità non è forse altro che causalità, perché quanta parte ha l’inconscio nelle nostre azioni e quanto i nostri errori nascondono in realtà dei desideri? Può capitare quindi di sbagliare porta e di trovarsi invece che nello studio di uno psicanalista, a confessarsi intimamente con la persona apparentemente meno indicata, e può anche capitare che si riveli però quella giusta. Leconte segue il disvelarsi delle confidenze, il loro divenire da unilaterali a reciproche, con elegante maestria, riflettendo nella macchina da presa il percorso di intimacy (non si tratta forse sempre della passione tra due perfetti sconosciuti, anche se espresso solo attraverso il dialogo?): dal montaggio alternato dei primi piani, psicanalitico nella sua rappresentazione del rapporto medico-paziente, gradualmente il movimento diviene più fluido, fino a sostituirsi allo sguardo dell’altro che erra di volta in volta sugli occhi, sul collo e la scollatura di lei, le mani nervose di lui, per finire in una splendida ripresa fissa dall’alto che sancisce l’avvicinamento. Inizialmente quasi un kammerspiel, non potevano che essere due grandi attori a renderlo un film praticamente perfetto (se si esclude qualche minima stanchezza narrativa nella seconda parte): Sandrine Bonnaire è intensa e misteriosa ma forse la sfida è stata vinta da Fabrice Luchini, di solito condannato a ruoli fastidiosamente sopra le righe, che qui ha modo di esprimere il suo talento in una recitazione tutta “in sottrazione” fatta soprattutto di sguardi e di gesti minimi.
[dicembre 2004]
regia: Patrice Lecomte sceneggiatura: Jerôme Tonnerre fotografia: Eduardo Serra montaggio: Joëlle Hache interpreti: Sandrine Bonnaire, Fabrice Luchini, Michel Duchaussoy produzione: Les Films Alain Sarde origine: Francia 2003 durata: 104’ distribuzione: Lucky Red
