Cosa voglio di più (Conferenza stampa)

Berlino - Cosa voglio di più, prima di uscire nelle sale italiane, è stato presentato al Festival di Berlino 2010 nella sezione Berlinale Special. Accolto da molti applausi alla proiezione con il pubblico tenutasi nella bellissima cornice del Friedrichstadtpalast, il film è stato accompagnato nella sua spedizione berlinese dal regista Silvio Soldini e dal cast al completo, composto da Alba Rohrwacher, Pierfrancesco Favino, Giuseppe Battiston e Teresa Saponangelo.
Soldini, già in Giorni e nuvole trattavi il rapporto con il denaro, con la materia? In questo film questo rapporto è ancora più presente. Di cosa ti sei accorto? Perché ti sei voluto spingere in questo argomento?
Silvio Soldini: Credo che dopo Agata e la tempesta, avevo la sensazione che ci fosse il bisogno di parlare della realtà che viviamo. Per questo ho voluto che la macchina da presa entrasse nella realtà. In Giorni e Nuvole ci sembrava che il tema della perdita del lavoro fosse molto nell’aria. Ci abbiamo anche un po’ azzeccato purtroppo. Poi mi è sembrato giusto andare un pochino avanti con questo discorso. I personaggi di quel film erano molto realistici ed in quest’ultimo film volevo ancora delle persone in cui il pubblico potesse riconoscersi. Ed abbiamo lavorato tanto con gli attori perché avvenisse questo.
Perché la scelta di raccontare il mondo di oggi dal basso a differenza di come fa molto cinema italiano?
S.S.: Ho sempre cercato di raccontare personaggi reali. Questa storia mi piace così, non ho mai immaginato di raccontarla in altro modo.
Pierfrancesco Favino: Questo cinema non ha nulla a che vedere con quel cinema "borghese". Sono due cinema che hanno intenzioni diverse. E’ ingiusto chiedere a quel cinema lì di essere il cinema sociale. Per foruna è così e meno male che ci sono film diversi.
Il film presenta scene di sesso molto intense, come vi siete preparati per realizzarle?
Alba Rohrwacher: Le abbiamo affrontate come le altre scene del film. Ne abbiamo parlato a lungo, cercando di capire fino in fondo i personaggi, i loro sentimenti, le loro intenzioni. In queste scene abbiamo messo tutte le nostre paure e le abbiamo affrontate. Abbiamo messo in scena queste sequenze in maniera onesta, delicata e libera.
S.S.: In questo film le scene di sesso non potevano essere solo accennate. Abbiamo cercato di capire cosa volevamo raccontare in ciascuno di questi momenti. Ho usato il carrello e non la macchina a mano come invece faccio per tutto il film. Comunque le abbiamo girate tutte insieme, tutte di fila.
Il film è molto costruito al montaggio, c’è un lavoro molto accurato in tal senso. Quanto avete patito nella fase di montaggio?
S.S.: Il montaggio è durato tre mesi. Ma non abbiamo patito molto. E’ stato un normale lavoro di montaggio. Certo, abbiamo dovuto tagliare delle scene, dei momenti, perché il film era troppo lungo. Ed abbiamo ragionato molto su cosa tagliare e cosa no.
Come hai detto, questo film è girato quasi interamente con la macchina a mano. In questo modo, la sensazione che si avverte è che ti avvicini molto ai tuoi personaggi. Lo stesso succedeva anche in Giorni e nuvole. Come mai questo stile?
S.S.: In L’aria serena dell’Ovest avevo uno sguardo osservatore, un po’ staccato. In questa maniera mi ritagliavo uno spazio di critica sui personaggi. In questo film invece non vuole esserci nessun giudizio sul comportamento dei personaggi. Vuole portare solo all’immedesimazione. E’ modo per dare verità al racconto. Quando ho detto al direttore della fotografia che volevo girara in cinemascope a mano ha pensato fossi matto.
Come mai la scelta di Milano come set?
S.S.: Ho scelto Milano perché mi serviva il discorso città periferia. Poi erano tanti anni che non giravo lì e mi piaceva tornarci.
Si respira un’aria più internazionale in questo film rispetto ai tuoi precedenti. E’ stato l’ingresso in produzione della Lumière a spingerti a questo?
S.S.: Non penso sia così. Non volevo realizzare una storia che varcasse più facilmente il territorio nazionale. E la Lumière non ha influito minimamente sulle mie scelte artistiche. Il mio film più venduto all’estero è Pane e tulipani, che è un film molto piccolo che non avrei mai pensato potesse avere questo successo. Penso che meglio racconti il tuo paese e più facilmente riesce a varcare i confini.
Il tuo film è stato selezionato al Festival di Berlino. C’è qualcosa del cinema tedesco che ha influenzato il tuo cinema?
S.S.: Il cinema tedesco attuale lo conosco poco. Ma negli anni ’70 ho visto ed amato tutti i film del nuovo cinema tedesco, che per me è stato molto importante, il cinema di Wenders, Herzog, Fassbinder, Kluge. Devo molto al cinema tedesco.
Una domanda per Alba e Pierfrancesco: come avete costruito i vostri personaggi?
P.F.: Abbiamo avuto la fortuna di fare le prove veramente. La cosa più difficile per noi era evitare il rischio del bozzetto. Il mio personaggio, Domenico, esiste perché Anna (Alba Rohrwacher) è così, e viceversa. Non avrei potuto interpretarlo in questo modo da solo, senza Alba, o senza la mdp di Silvio Soldini. Il risultato della mia e della nostra interpretazione nasce da una collaborazione di tutti. Quando giravamo, ci rendevamo subito conto che una cosa non era vera. Quando c’era qualcosa di non autentico si sentiva subito.
A.R.: Sono d’accordo con quanto ha detto Pierfrancesco, anche se in molti casi sul set e fuori dal set abbiamo discusso molto sui nostri personaggi. Comunque, per quanto mi riguarda, all’inizio c’è stata una curiosità di scoprire insieme a Silvio un personaggio che era lontanissimo dai personaggi che avevo fatto. Siamo andati a scoprire un fuori di Anna, un’esteriorità. La mia Anna esiste grazie agli altri, grazie a Domenico ma anche a tutta la famiglia.
Leggi la recensione del film
